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Il ritorno dell’Europa emergente

26/03/2018

Quando un investitore pensa ai mercati emergenti, fissa la sua attenzione solitamente sull’Asia e l’America latina, ma raramente si focalizza sui paesi dell’Europa dell’Est (Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Slovacchia, Romania, Bulgaria etc).

Le informazioni sull’area sono spesso scarse e pochi sanno che questi paesi, negli ultimi anni, stanno crescendo a ritmi superiori a quelli dell’Eurozona e dell’America latina.

Dopo aver sofferto un pesante e lungo contraccolpo a causa della crisi iniziata nel 2008, a partire dal 2014 i paesi dell’Europa dell’Est hanno inanellato tre anni caratterizzati da una variazione annua positiva del Pil superiore al 3%. Il nuovo periodo di crescita sta trasformando i mercati azionari e obbligazionari dell’Est in un’opportunità di diversificazione dei portafogli (almeno fino a quando il rischio politico, che aleggia da decenni in questi paesi, non annulli le potenzialità espresse).

Stando alle previsioni degli esperti, il ciclo non è destinato a esaurirsi nel breve termine: per la macro regione che include, oltre all’Europa dell’Est, anche l’Africa e il Medio Oriente, la stima di crescita è stata fissata al 2,6% per il 2018, superiore al 2,3% previsto per l’Eurozona e all’1,7% dell’America latina. Fino a questo momento, la crescita degli ultimi anni e le stime rosee per i prossimi, stanno avendo ripercussioni positive sui listini azionari della zona. Gli indici del’area mostrano progressi che spaziano dal +8% della Romania al +3% dell’Ungheria.

Il grande dubbio che accompagna le analisi e le stime degli esperti riguarda la presenza o meno di cambiamenti strutturali che rendano il nuovo trend sostenibile. La maggior parte degli esperti propende per la prima ipotesi e argomenta che l’area è uscita più solida e meno dipendente da fattori esterni dopo le riforme intervenute dopo la devastante crisi avviata nel 2008. Il primo dato a supporto di questa tesi è quello relativo all’indebitamento privato, ridottosi del 5% per attestarsi al 57% del Pil. Anche l’indebitamento dei nuclei familiari è calato dell’1,2% e rappresenta il 29% del Pil, un valore nettamente inferiore a quello delle famiglie dell’eurozona. In altre parole, la crescita sperimentata negli ultimi anni non sarebbe frutto del ricorso all’indebitamento ma di un trend sano.

Nella maggior parte di questi paesi si è verificato anche un deciso recupero del mercato del credito, in particolare quelli erogati in valuta locale (che rappresentano l’82% del totale concesso alle famiglie e il 63% di quelli erogati alle aziende). Cosa implica questo? In primis che le economie di questi Stati sono attualmente meno dipendenti dai saliscendi delle divise forti (dollaro ed euro, che negli anni passati hanno dominato il mercato del credito). La ripresa dei crediti denominati nelle valute locali tende a ridurre uno dei grandi rischi a cui vanno incontro tutte le economie emergenti: un rafforzamento forte e improvviso dell’usd.

L’impulso di cui ha beneficiato il mercato del credito ha trovato un valido supporto nel continuo miglioramento del mercato del lavoro (il tasso di disoccupazione si attesta nel range 3-4%; la produttività è in continua ascesa). Il calo della disoccupazione e l’incremento della produttività sono stato accompagnati da aumenti dei salari. Attualmente, il salario medio dei dieci paesi orientali membri dell’UE è un quarto di quello tedesco e la produttività di ogni lavoratore è pari a 2/3 di quella di un lavoratore tedesco.

Il tallone d’Achille di questo scenario roseo è costituito in parte dai rischi di un ritorno dell’inflazione (che ha già convinto alcune banche centrali a adottare una politica monetaria più restrittiva). Tuttavia, i rialzi del costo del denaro sono stati contenuti e la preoccupazione maggiore arriva dai rischi di natura politica derivanti dalla crescita dei partiti e movimenti estremisti. In Ungheria il governo è presieduto da Victor Orban, capo di un partito di estrema destra. La Polonia si è resa protagonista di violazioni palesi del diritto comunitario che hanno messo in discussione l’erogazione di fondi comunitari a suo favore.

A cura di: Rocki Gialanella

Parole chiave:

est europa crescita investimenti
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