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La stretta via del petrolio

30/05/2018

Come promesso, torniamo a occuparci di petrolio: nello specifico è interessante capire come puntare su tale comparto, qualora si creda nella ripresa del greggio. Come abbiamo visto, il rialzo in corso arriva in un momento non eccessivamente facile per la situazione mondiale, tanto che è accompagnato da un’inusuale correlazione positiva con il dollaro. In questa analisi partiamo però per esclusione, sottolineando dunque quali sono i rischi che ci portano ad evitare alcuni temi comunque legati all'energia.

Innanzitutto c'è il comparto dei servizi collegati, in assoluto il segmento più ciclico di questo complesso. È vero che nel corso degli ultimi anni gli investimenti si sono ridotti praticamente a zero e adesso una ripresa è visibile (soprattutto, ad esempio, nella costruzione di grandi petroliere per il trasporto), ma per puntare su questo universo bisogna proprio essere convinti della durata della ripresa economica e del ritorno dell'inflazione. Sicuramente in questo ambito occasioni ci sono, però i rischi sono di conseguenza.

Un altro gruppo potenzialmente interessante è quello dei grandi produttori dei paesi emergenti, Brasile e Russia in primis, dove le quotazioni sono a forte sconto. I dati economici di questi due protagonisti delle commodity, però, non sono entusiasmanti. Inoltre nel primo caso bisogna gestire il problema delle nuove sanzioni varate, nel secondo c’è un'economia nel caos politico e con una valuta e in generale asset finanziari in forte calo. Valore può esserci, ma ci vorrà tempo, coraggio e fortuna a estrarlo.

Negli Usa essenzialmente il problema per i titoli energetici è costituito dalle quotazioni, con in più il fatto che gli investitori, dopo la sciacquata dello shale oltre due anni fa, sono ancora riluttanti a investire in forze su un segmento che comunque deve competere con molte altre alternative dai fondamentali di lungo periodo meno incerti.

Restano le major europee: questa probabilmente è la scelta migliore. Innanzitutto il loro fatturato e la loro struttura dei costi sono in gran parte in dollari, il che fornisce anche un hedge naturale nei confronti della volatilità valutaria. Inoltre le valutazioni stanno rientrando: il P/E forward attuale dell’Msci Europe energy è attualmente intorno a 14, a fronte di un trailing di 21. Il valore del forward è in linea con quello dell’Msci Europe generale.

Certo le performance nel corso degli anni non sono state esattamente entusiasmanti: se ci limitiamo all'andamento in euro, il total return annuale nel periodo terminato a fine aprile è stato +3,10%, a fronte di un indice generale venuto su del 4,50%. Se confrontiamo le performance in dollari con altri settori in altre aree, il paragone diventa poi impietoso.

Attualmente, però, gli investitori devono anche aggiungere un dividend yield di circa il 5%: qualora i profitti dovessero continuare a stabilizzarsi e riprendersi, certamente un tale valore costituirebbe già di suo un notevole fattore di rassicurazione. Certo se il quadro generale dovesse deteriorarsi ulteriormente, investire nel petrolio europeo vorrebbe dire andare a cacciarsi in una delle aree più cicliche dell'equity globale, all'interno di un'area geografica che già mostra una volatilità estrema durante le faso di risk-off.

Come abbiamo visto, il resto del complesso energetico è probabilmente ancora più rischioso, quindi di conseguenza investire nell'oro nero attraverso le major europee si può fare, a patto però di diminuire fortemente il rischio nel resto del portafoglio, a meno che, come abbiamo ricordato in apertura, non si abbiano convinzioni fortemente ottimiste circa le prospettive a breve-medio termine.

A cura di: Boris Secciani

Parole chiave:

petrolio servizi emergenti major europee
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