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Più Cina nell’Msci, ma non solo vantaggi

03/07/2017

Msci, una delle maggiori società di indici al mondo e largamente la più importante per quanto riguarda i benchmark azionari legati ai mercati emergenti, ha deciso di inserire a partire dal 2018 222 azioni di categoria A cinesi (quotate a Shanghai e a Shenzhen) in tre dei suoi indici: l’Msci Acwi, l’Msci Emerging Markets e l'MsciAsia ex Japan.

Va detto subito che si tratterà di un processo estremamente graduale, con un peso iniziale da prefisso telefonico all'interno dei diversi panieri. I vantaggi per coloro che investono in azioni cinesi sono evidenti: tutti i gestori che puntano sui mercati emergenti e si muovono sulla base di un indice di riferimento saranno costretti ad aumentare i loro acquisti di azioni del Dragone, spingendone evidentemente le quotazioni.

Un aspetto interessante che pochi hanno però evidenziato è che, con questa riforma, all'interno dello stesso indicatore vi saranno diverse aziende quotate in due versioni: oltre a quella A già citata, la stessa società può essere presente con l’azione H presente sul listino di di Hong Kong.

I due segmenti di mercato, però, spesso presentano divergenze piuttosto acute e durature, nonostante l'introduzione delle varie connessioni fra diversi mercati asiatici, compresa quella tra Shanghai e Shenzhen. Proprio su questo punto vale la pena concentrarsi. Infatti la situazione che si sta andando a creare rappresenta un unicum nel panorama moderno dei mercati. Ovviamente opportunità di arbitraggio si possono avere fra vari classi di azioni della stessa azienda (ordinarie e privilegiate ad esempio) o fra i titoli di un’holding e di una sua controllata o anche fra la quotazione principale e un qualche depositary receipt quotato in giro per il mondo. Però qui ci troviamo di fronte a effetti ascrivibili a un singolo indice, peraltro come abbiamo detto in un'asset class con una lunga storia di divergenze bislacche.

Ovviamente l’aperta speranza è che si arrivi prima o poi a una convergenza negli andamenti degna di un mercato avanzato (e probabilmente le autorità cinesi contano pure che sul lungo termine la liquidità si concentri sulle A, svuotando quindi la borsa di Hong Kong), ma è difficile che questo processo avvenga in tempi particolarmente rapidi. È piuttosto ovvio peraltro che simili considerazioni abbiano indotto alla prudenza l’Msci che ha assegnato per l'appunto per il momento infimi pesi a questo gruppo di titoli.

Ora però immaginiamo uno scenario come quello ipotizzato, in cui le caratteristiche di divergenza rimangano e che alla fine il peso all'interno del ventaglio di benchmark Msci aumenti fino a un livello significativo. È difficile assegnare una probabilità certa a tutto ciò, però siamo assolutamente nel campo del possibile e non dell’altamente improbabile. Questo per due ragioni: la capitalizzazione delle A, attualmente circa 5 mila miliardi di euro, è comunque enorme e quindi destinata a pesare sempre di più. Dall'altra parte però i due gruppi di investitori, stranieri concentrati sulle H e sugli Adr americani e di altri luoghi, e domestici, tutti o quasi sulle A, continuano a rimanere due mondi non comunicanti che seguono logiche completamente diverse. Nello specifico del Dragone vi è una mancanza di investitori istituzionali seri che puntino sull'equity e un retail che entra ed esce dalla borsa a seconda degli alti e bassi dell'immobiliare.

Basti considerare l'andamento nel 2017 delle banche quotate nel China Enterprises Index di Hong Kong e nello Shanghai Composite per avere un quadro della situazione, che vede divergenze molto nette tra un mercato e l’altro. Tutto ciò, però, rischia di portare effetti contraddittori su un indice come l’Msci Em, che rappresenta il vero benchmark per l'investimento azionario emergente e quindi di un’importanza enorme per tutti coloro che operano su questa asset class. Si potrebbe obiettare che a quel punto interverrebbero diversi hedge fund, che possono assumere posizioni corte, a riequilibrare il tutto: l'obiezione è ragionevole, se si immagina un premio delle H rispetto alle A, però vi sarebbe il caveat costituito da autorità cinesi poco vogliose di abbassare i corsi della propria piazza domestica per favorire Hong Kong.

In pratica, la normalizzazione in senso capitalistico delle borse del Dragone è ancora un processo lungo, che verrà costellato da distorsioni di ogni tipo, che in questo caso rischiano di andare a manifestarsi in una maniera mai vista prima.

A cura di: Boris Secciani

Parole chiave:

Msci Cina Shanghai Shenzhen azioni
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