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Nasdaq, maneggiare con cura

26/09/2016

Per i più pessimisti sembrava essere caduto nella stessa spirale del Nikkei, un indice destinato secondo i più a non tornare mai più ai massimi di quella che è stata forse la peggiore bolla finanziaria della storia. Eppure il Nasdaq composite, pur non toccando ancora il top intra-day del marzo 2000, veleggia sopra quota 5.300 da mesi e sembra essersi lasciato definitivamente alle spalle il crollo dei primi mesi del 2000 e rappresenta una grande opportunità d’investimento malgrado i prezzi siano alti.

In pratica, l’indice dei tecnologici è tornato quasi sui suoi massimi dopo 16 anni e ha superato il crollo delle dotcom. Se analizziamo il grafico a cinque anni vediamo che l’indice è passato dai 2.400 punti del gennaio del 2012 ai 5.300, come detto dell’ultimo mese. Oggi gli utili per azione sono leggermente superiori a quelli dell’S&P 500, ma le prospettive sono nettamente migliori. Inoltre le società più grandi hanno ratio ragionevoli. Gli analisti paventano qualche correzione a breve, ma la corsa non sembra destinata a fermarsi.

Ovviamente non si può evitare di ricordare che paragonare il livello di oggi con quello della fine degli anni ‘90 non ha nessun senso: l’indice è cambiato pesantemente per composizione e pesi delle capitalizzazioni. Basti pensare al fatto che Google fu quotata in borsa solo nel 2004, mentre Apple stava faticosamente uscendo da una situazione pre-fallimentare. All’epoca parole ormai di uso comune come smartphone, tablet e App erano inesistenti e proprio nei primi anni 2000 venivano piazzate a cifre mostruose le licenze per le bande dei network di terza generazione sui cellulari.

Per anni, però, la migrazione di contenuti su dispositivi mobili è stata lenta e deludente finché all’improvviso è arrivata la rivoluzione degli iPhone. Oggi paesi come Singapore e la Corea del sud vedono già la maggior parte dei propri utenti navigare su mobile tramite network Lte 4g. Lo stesso discorso di trasformazioni che apparivano solo nel regno delle idee ha accompagnato l’e-commerce e l’entertainment via internet, cui si è sommata l’esplosione della Cina. Infatti nei tardi anni ‘90 la rete era soprattutto un fenomeno statunitense con l’Europa dietro e le tigri asiatiche che sembravano non avere colto la portata di questa trasformazione.

La Cina era ancora solamente un produttore a bassissimo costo e non era neppure membro del Wto. Oggi il Dragone ha un comparto It, dall’hardware ai contenuti mediatici e pubblicitari e all’e-commerce, che sta superando quello statunitense. Tutto ciò per dire che la differente composizione dell’indice riflette un mondo completamente diverso: in pratica le promesse di internet sono diventate finalmente una cosa seria. Certo aree a rischio di bolla sono rimaste: basti pensare alle valutazioni improbabili che hanno raggiunto diverse App al secondo-terzo round di finanziamenti di venture capital (quest’ultimo per volumi di investimenti in Usa rimane molto al di sotto dei picchi del 2000) o le quotazioni borsistiche di social network e gruppi del commercio elettronico.

È indubbio però che il mercato è maturato: oggi ci sono fatturati, profitti, free cash flow e in molti casi persino dividendi. Le aziende sono in grado di effettuare share buyback e accedere al mercato dei corporate bond: in sintesi internet è diventata adulta. Ciò non toglie che comunque siamo attualmente entrati nel settimo anno di un bull market senza precedenti e in questo caso, almeno nel breve termine, una certa prudenza sembra d’obbligo.

A cura di: Massimiliano D'Amico

Parole chiave:

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