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Europa nelle mani di banche e petrolio

23/12/2016

C'è una questione che è stata sfiorata diverse volte nelle ultime settimane: siamo di fronte a un'inversione del processo di sotto-performance dell'azionario europeo che dura ormai da fine 2007? Come abbiamo visto, questo andamento in genere viene interrotto solamente nei periodi seguenti alle fasi di crash che periodicamente sembrano colpire i mercati europei. I listini statunitensi, infatti, non sono stati soggetti a crisi davvero serie dal 2009 a oggi e hanno sovra-performato anche negli anni di volatilità in calo.

Alla base di questo fenomeno negli Usa ci sono diverse ragioni: una più ampia diversificazione settoriale in comparti a maggiore crescita, un'efficienza manageriale complessivamente superiore che ha portato a una più rapida ripresa dei profitti, una maggiore efficacia del quantitative easing della Fed rispetto a quello europeo.

Ora però le cose potrebbero cambiare in Europa? Prima di dare una risposta occorre esaminare due settori chiave per la ripresa: energia e banche. Cominciamo dagli istituti di credito: essi rappresentano una fetta importante della capitalizzazione azionaria europea, tuttora circa il 12% dello Stoxx 600, il secondo segmento per peso complessivo dietro la cura della salute. E soprattutto costituiscono il punto più fragile dell'economia del Vecchio continente, come tale riconosciuto dagli investitori. Infatti se guardiamo allo Stoxx 600 notiamo che il 22 dicembre le performance erano ancora negative per l'1,5% dalla fine del 2015, mentre per il sotto-indice bancario si viaggiava ancora a -5,7% circa. Ma difficilmente le piazze azionarie europee torneranno a sovraperformare l'America e molti emergenti se finalmente il segmento degli istituti di credito non tornerà a fare meglio dell'equity complessivo della regione. Questo non solo per il peso a livello di capitalizzazione, ma anche per l'effetto di derating che va a colpire le quotazioni dell'intero listino: non tanti sono disposti a puntare più di tanto su economie con un apparato creditizio a rischio costante di disastro. Senza contare che una ripresa dell'Europa con un elevato beta da parte delle banche significherebbe che finalmente la politica monetaria sta cominciando a funzionare come si deve e che si è innestato un circolo virtuoso fra domanda e offerta di credito.

Ora passiamo all'energia e specificatamente al petrolio: la tesi è che se le quotazioni del greggio dovessero tenere e anzi portarsi intorno all'area di 60 dollari per il Brent e lì stabilizzarsi (questa risorsa presenta una volatilità prodigiosa, per cui è necessario aspettare un po' prima di cantare vittoria) allora ci sarebbe il secondo segnale che le cose stanno migliorando. In questo caso il ragionamento è lievemente diverso: un Brent sopra 60 dollari vuole dire dare ossigeno a molti emergenti, verso cui l'Europa è esposta con esportazioni di beni in conto capitale e di consumo, oltre che a livello bancario (basti pensare al derating che l'equity dell'Europa orientale ha subito nell'ultimo decennio). Inoltre anche in questo caso vi sarebbe il proverbiale canarino nella miniera a confermare che l'economia globale è in condizioni quanto meno decenti. Con un duplice scenario del genere probabilmente non pochi istituzionali comincerebbero finalmente a operare quella rotazione al di fuori dei carissimi listini equity made in Usa.

A questo punto come muoversi? Era stato ipotizzato di puntare in futuro, in anni che probabilmente saranno caratterizzati complessivamente da rendimenti minori per le attività rischiose, su una posizione market-neutral sull'azionario con un portafoglio lungo dato dal mercato Usa e quello corto dal mercato europeo, sotto forma dei rispettivi indici più importanti. Questa posizione è ancora valida, ma se un investitore volesse rischiare sullo scenario ottimista si potrebbe consigliare una manovra articolata: lunghi di azionariato europeo, corti di Usa, con però gli asset almeno parzialmente coperti da posizioni corte su banche europee e petrolio.

Prima di una conferma della fine del tunnel nei due settori chiave citati, però, l'Europa appare destinata a continuare a fare il brutto anatroccolo del mondo sviluppato.

A cura di: Boris Secciani

Parole chiave:

europa banche petrolio investimenti
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