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Una enigma per il Messico

04/07/2018

Andres Manuel Lopez Obrador, candidato di sinistra alle elezioni presidenziali in Messico, ha vinto al suo terzo tentativo. In precedenza Lopez Obrador si era presentato con il Pri, partito che ha dominato la vita politica del paese nell'era post-rivoluzione.

Innanzitutto è interessante fornire qualche dato per spiegare perché ci interessiamo alle elezioni di un emergente lontano: il paese vanta una popolazione di oltre 123 milioni di abitanti (l'undicesima più vasta della Terra), ancora in robusta crescita nonostante un forte calo delle nascite negli ultimi decenni. Il Pil nominale viene stimato quest'anno a 1,25 trilioni di dollari, il sedicesimo valore più elevato del mondo. A livello pro capite il Messico dovrebbe quindi registrare una cifra di poco superiore a 10 mila dollari.

In pratica si tratta di una potenza emergente di tutto rispetto, il cui peso è ovviamente aumentato dall'enorme confine con la super-potenza statunitense. È inoltre un paese industrialmente e tecnologicamente piuttosto avanzato e in questo ambito occupa una posizione preminente in America Latina, senza contare ovviamente le ingenti risorse petrolifere. Il saldo di partite correnti è strutturalmente negativo, per percentuali però che raramente superano il 2% del Pil: nulla rispetto a quanto si vedeva fino a poco tempo fa nel Sud e nell'Est dell'Europa tanto per fare un esempio, per non parlare degli Usa. Il debito pubblico oscilla intorno al 54-55%, un valore non bassissimo e in crescita di circa 17 punti percentuali dal 2006.

Insomma il Messico rappresenta un caso quasi da manuale: una potente e sofisticata realtà emergente con però molti problemi economici e sociali che rendono incerto il suo futuro. A partire dalla fine degli anni ‘80 il modello economico locale è stato caratterizzato da una sempre maggiore adesione al libero mercato, con risultati interlocutori. Il tasso di crescita è infatti tutto sommato ormai strutturalmente modesto: raramente supera il 3%.

Così, pur con dimensioni enormi e un'apertura solo in tempi recenti al libero mercato, oggi ad esempio il Pil pro capite cinese è di poco inferiore a quello messicano; il Dragone poi vanta anche un costo del lavoro manifatturiero largamente superiore a quello messicano. In pratica il paese è vicino a un rischio di stagnazione strutturale, quella che viene definita dagli economisti middle income trap. Inoltre ai problemi economici si somma la pesante situazione sociale con uno dei tassi di crimine violento più elevati del mondo a causa delle continue guerre fra bande di narcotrafficanti.

In questo scenario non facilissimo arriva la presidenza di Lopez Obrador, che rappresenta un’incognita pressoché totale, anche a livello programmatico e ideologico: per quanto riguarda la sinistra latino-americana, infatti, si possono trovare esempi contrastanti. Da una parte vi sono state amministrazioni pragmatiche (ad esempio Uruguay e Bolivia) che hanno ben gestito situazioni non facili, dall'altra si sono avuti in altre realtà risultati fra il pessimo e l'abominevole (Argentina, Venezuela).

In quale campo si collocherà il nuovo presidente? La domanda non è di interesse solo per l'area latino-americana: infatti un ulteriore deterioramento sociale del paese, accompagnato da una sua caduta economica, avrebbe conseguenze devastanti anche per gli Usa. E a collaborare peri impedire tutto ciò si troveranno ora il presidente americano più di destra nella storia recente degli Usa e quello più di sinistra al di là del confine: non c'è troppo da sorprendersi se gli asset messicani, sia l'equity sia la valuta, hanno avuto un 2018 finora pessimo.

Il Messico rappresenta un paradigma piuttosto interessante dei problemi che accompagnano alcuni grandi emergenti, che si trovano geograficamente vicini e finanziariamente profondamente interconnessi (oltre che a livello di economia reale) con alcune delle maggiori potenze economiche del pianeta. Si tratta di difficoltà che potenzialmente potrebbero portare a un contagio anche verso i maggiori mercati sviluppati. Pensare di rimanere immuni da una potenziale accelerazione di crisi in nazioni come Indonesia, Turchia e Messico è irrealistico, anche se purtroppo si tratta di un rischio pochissimo calcolato dai gestori dei paesi sviluppati.

A cura di: Boris Secciani

Parole chiave:

Messico Usa elezioni sinistra
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