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Wall street, un brutto segnale

26/10/2018

Nonostante un rimbalzo di circa il 2% e il 3% rispettivamente dell’S&P 500 e del Nasdaq composite giovedì, l’azionario statunitense si trova nella giornata di venerdì 26 di nuovo sull'orlo di una correzione. In particolare il composite, ricco di titoli It e biotech, è entrato già in questo territorio, perdendo oltre il 12% dai massimi storici.

A questo punto sono indispensabili alcune considerazioni, quasi nessuna particolarmente incoraggiante. Innanzitutto va detto che per la seconda volta nel giro di un anno si è ripetuto lo stesso pattern, ossia un passaggio rapidissimo da un quadro di euforia a uno di quasi-panico. Ancora a inizio ottobre l’S&P 500 metteva a segno massimi storici, mentre il Nasdaq era a pochissima distanza. All'interno di quest'ultimo già da questa estate si potevano notare alcune crepe fra le azioni di colossi della rete (ad esempio Facebook e Netflix) dalle quotazioni decisamente elevate. Al tempo stesso, però, titani come Apple e Amazon sembravano continuare a mettere a segno un massimo dietro l'altro.

La caduta è stata senz'altro un po' meno precipitosa rispetto allo scorso gennaio/febbraio, ma certo fa una certa impressione vedere togliere i soldi dal tavolo con tale velocità, in particolare all'inizio della stagione delle trimestrali. La correzione che stiamo vivendo è stata generata, oltre che da tutte le tensioni politiche che rendono lo scenario futuro un rebus di difficile lettura, dal rialzo dei rendimenti dei Treasury e dei tassi di interesse statunitensi in generale. Inoltre pessimi segnali arrivano da comparti come l'auto e l'immobiliare, molto sensibili ai tassi di interesse: questi due segmenti fondamentali per l’economia di un paese stanno vivendo cadute congiunturali già da qualche mese. In particolare è pesante il calo nelle vendite di nuove abitazioni a settembre: queste ultime sono scese del 5,5% rispetto ad agosto e del 13,2% in confronto allo stesso mese del 2017. Entrambi i mercati stanno bruciando i guadagni messi a segno nei primi mesi del 2018.

Di conseguenza le strane correlazioni viste nelle sedute iniziali della correzione, dollaro debole e prezzi dell'obbligazionario governativo in rialzo insieme all'azionario, hanno poi lasciato il passo al classico scenario di risk off con il dollaro che ha guadagnato un po’ di terreno nei confronti dell'euro e un decennale Usa tornato abbondantemente sotto quota 3,10%.

Un altro elemento che risulta coerente con un paradigma di deterioramento è la pessima performance dei titoli growth: infatti, se un minimo di tenuta del mercato si è visto, è stato dovuto alla forte rotazione verso il value, anche all'interno dei protagonisti della tecnologia con la precedentemente menzionata Apple, dotata di multipli tutto sommato contenuti, che ha mostrato cali meno disastrosi rispetto ad altre mega-cap del settore.

Tutto ciò, però, introduce un ulteriore elemento di rischio: siamo ben lontani da un quadro di capitolazione e sbraco. Ad esempio il Vix, mentre scriviamo, è intorno ai massimi relativi dell'ultimo movimento, sopra quota 26. Lo scorso febbraio superò 37, il che significa che vi sono ancora ampi margini di discesa.

Infine la questione profitti: riuscire ad avere un'idea ben definita dell'ultimo trimestre e, soprattutto, delle prospettive future allo stato attuale non è facile. È bene però sottolineare un elemento: se da questo ambito non arriveranno dati più che convincenti i calci che arriveranno sugli stinchi degli investitori saranno più che copiosi. Perché l'attuale crisi appare sempre più chiaramente come la diretta conseguenza del fatto che il mercato ha notato evidenti prodromi di un rallentamento economico in essere. Così avvenne anche fra la fine del 2015 e l'inizio del 2016, però all'epoca a salvare la baracca fu l'avvio degli effetti del picco del Qe globale. Oggi la situazione è diversa.

A cura di: Boris Secciani

Parole chiave:

Wall Street Nasdaq correzione tassi
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