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Una strategia valutaria fra Cina e Giappone

23/01/2019

In due precedenti articoli abbiamo analizzato come vi possano esserci interessanti margini per vedere il dollaro in ribasso sul breve periodo. Avevamo anche indicato nello yuan una divisa con buone possibilità di mettere a segno una significativa crescita in questo 2019, dopo un 2018 di volatilità e (in buona parte) di debolezza. La maniera migliore per cogliere questo trend sarebbe posizionarsi lungo la curva dei titoli di stato cinesi, disponibili anche in Italia attraverso Etf specifici.

In generale i rendimenti disponibili sono piuttosto elevati e caratterizzati da elevato carry. Se aggiungiamo poi che il paese è impegnato sostanzialmente in un processo di allentamento secolare della politica monetaria e che il panorama del reddito fisso non è che offra chissà quali alternative, qualora il 2019 si rivelasse un anno di propensione al rischio, non ci sarebbe da sorprendersi se si assistesse a una ripresa del fixed income emergente, Cina in testa, con la possibilità di cogliere occasioni anche sulla duration.

Certo i rischi sono tanti. Se l'America scendesse con il proprio tasso di crescita a livelli da stagnazione, l'Europa piombasse in una recessione conclamata e l'economia cinese a un tasso di crescita inferiore di almeno un punto rispetto al consensus previsto, quindi intorno al 5%, allora sarebbero dolori. Una posizione di questo genere sarebbe infatti meglio coprirla e la maniera migliore sarebbe probabilmente investire sullo yen o magari verso quelle valute particolarmente sensibili nei confronti del ciclo globale come il dollaro australiano o quello neozelandese.

La tendenza dello yen a rafforzarsi quando le cose vanno male a livello globale, e in particolar modo quando l'epicentro della maretta va ricercato in Asia, è nota: non a caso tali caratteristiche si sono evidenziate anche nella crisi dell'ultimo trimestre dell'anno appena terminato.

L'aspetto interessante è dato dal fatto che anche in condizioni positive sui mercati vi sono buone probabilità di vedere quanto meno una certa stabilità da parte dello yen. Abbiamo parlato, infatti, di una possibile posizione lunga contro il dollaro australiano il cui tasso di interesse di riferimento è fisso da quasi un triennio ai minimi storici (1,5%). In fondo si tratta di una posizione, in termini di politica monetaria, non molto diversa da quella dell'Europa e che potremmo definire a metà strada fra l'estremo americano da una parte e quello giapponese dall'altro. È difficile immaginare in tali aree chissà quale boom in grado di portare a sorprese al rialzo in termini di tassi di interesse e rendimenti obbligazionari. Tra l'altro puntare su una ripresa dello yen contro l'euro avrebbe un certo senso, anche se si andrebbe probabilmente a ingoiare una maggiore volatilità a fronte di un carry più favorevole.

Dall'altra parte, lo yen è tutto tranne che una moneta sopravvalutata a parità di potere d'acquisto, mentre nessun asset giapponese, ormai neppure i titoli di stato del Sol Levante, appare caro in termini relativi rispetto al resto del mondo. Dal punto di vista geopolitico, poi, il paese rimane comunque il più stabile dell'Asia, anche se sicuramente il più immobile.

Certo, come dicevamo, ottenere un minimo di rendimento sotto forma di flussi di cassa senza incorporare seri rischi è praticamente impossibile in Giappone, però lo yen indubitabilmente oggi presenta forti caratteristiche di diversificazione e di riduzione della volatilità in quasi ogni portafoglio. Il quadro sembra indicare che tale ruolo verrà mantenuto piuttosto a lungo.

A cura di: Boris Secciani

Parole chiave:

yuan yen dollaro
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