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Tasse giugno 2025: 59 miliardi in arrivo all’erario
L’Italia, con una pressione fiscale del 42,6 per cento del PIL, è tra i Paesi europei più tassati. A complicare il quadro è la burocrazia: un’impresa media impiega circa 238 ore all’anno per adempiere agli obblighi fiscali, molto più che in Francia o Germania. Evasione in calo ma ancora elevata.

Dopo il primo ‘‘tax day’’ dell’anno, che ha visto lunedì 17 giugno l’erario incassare ben 42,3 miliardi di euro, le scadenze fiscali per i contribuenti italiani non si arrestano: entro il 30 giugno dovranno versare altri 17 miliardi, per un totale di 59,3 miliardi solo nel mese corrente. Un adempimento fiscale che, come ogni anno, mette in difficoltà soprattutto imprese e partite IVA, da sempre alle prese con problemi cronici di liquidità.
Secondo l’Ufficio studi della CGIA di Mestre, il peso di questa doppia scadenza è particolarmente gravoso per le aziende: oltre l’80% del gettito del 17 giugno è infatti arrivato dalle imprese, chiamate a versare ritenute IRPEF sui dipendenti (14,4 miliardi), IVA (13,2 miliardi), IMU (5 miliardi) e ritenute sugli autonomi (1,3 miliardi). Si tratta in gran parte di partite di giro, somme incassate per conto dello Stato, ma che in un sistema economico afflitto da ritardi nei pagamenti e difficoltà di accesso al credito, rappresentano comunque un onere insostenibile per molte attività. A questo appuntamento con il Fisco ne segue subito un altro: il prossimo 30 giugno, infatti, porterà all’Erario altri 17 miliardi, grazie ai versamenti di IRES (9,8 miliardi), IRAP (4,9 miliardi), IRPEF (1,5 miliardi) e addizionali regionali e comunali (0,9 miliardi). Un dato parzialmente alleggerito dal rinvio al 21 luglio, concesso ai contribuenti soggetti agli ISA (Indici Sintetici di Affidabilità), così come ai forfettari.
Il carico fiscale italiano è tra i più pesanti d’Europa
Il carico fiscale italiano resta tra i più alti dell’Unione Europea: nel 2024, secondo i dati Eurostat, la pressione fiscale ha toccato il 42,6% del PIL, superata solo da Danimarca, Francia, Belgio, Austria e Lussemburgo. In Germania, il prelievo è inferiore di quasi due punti percentuali (40,8%), mentre in Spagna si ferma al 37,2%. A rendere più complicato il rapporto con il fisco è anche il tempo necessario per adempiere agli obblighi burocratici: in Italia, secondo la Banca Mondiale, una media impresa impiega 30 giorni all’anno – pari a 238 ore – per calcolare, dichiarare e versare le imposte. In Francia ne bastano 17, in Germania 27. Un gap che riflette un sistema ancora troppo complesso e oneroso per chi produce reddito.
Evasione in calo, ma resta elevata
Una nota positiva arriva dal fronte dell’evasione fiscale: nel 2024 l’Agenzia delle Entrate ha recuperato 33,4 miliardi di euro, record assoluto. Il fenomeno, nel suo complesso, è comunque in calo: da 108 miliardi nel 2017 a 82,4 miliardi nel 2021 (ultimo dato disponibile). Anche se continuiamo a parlare di cifre importanti, che sottraggono risorse fondamentali allo Stato e aggravano il carico fiscale su tutti i contribuenti. La Lombardia, con 13,6 miliardi, è la regione con il valore assoluto più alto di evasione, ma il tasso più elevato si registra in Calabria (20,4%), seguita da Campania, Puglia e Sicilia. La provincia autonoma di Bolzano è la più virtuosa, con un tasso dell’8,6%. La media nazionale si attesta al 12,5%.
La sfida resta quella di un fisco più semplice ed equo
Nonostante i risultati incoraggianti ottenuti con la fatturazione elettronica, il contrasto alle frodi IVA e le tecnologie digitali, il sistema fiscale italiano resta ancora percepito come poco efficiente. La vera sfida per il futuro, secondo l’analisi della CGIA, sarà quella di coniugare lotta all’evasione e semplificazione amministrativa, sostenendo sia le imprese sia i cittadini con un fisco più giusto, meno complicato e meglio organizzato. Un orizzonte non ancora vicino, considerato che nel quarto trimestre del 2024 la pressione fiscale in Italia ha superato il 50% e che la manovra di bilancio 2025, pur introducendo semplificazioni all’IRPEF, ne aumenta la sensibilità all’inflazione, colpendo soprattutto i lavoratori dipendenti. Il rischio è che i salari crescano nominalmente, ma il prelievo fiscale salga in modo non proporzionato, erodendo il potere d’acquisto.
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