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Due esempi da non seguire

19/09/2017

Svalutare, stampare moneta, gonfiare la spesa pubblica. Ricette infelici che hanno pilotato il Venezuela oggi e l’Argentina in un passato non molto lontano a sfiorare l’abisso senza ritorno.

Qualche anno fa, il potenziale -ma per ora scampato- pericolo di un ritorno della Grecia alla dracma, ha diviso l’opinione pubblica e politica del nostro paese tra coloro che propugnavano il ritorno alla vecchia moneta e quelli che invece continuano a credere che la permanenza nell’eurozona rappresenti una soluzione migliore della svalutazione.

Lo scenario internazionale offre esempi di paesi che, in un passato recente, hanno optato per la soluzione ‘svalutazione’, con risultati davvero sconcertanti in termini di diffusione del benessere sociale e di rientro nei mercati internazionali dei capitali a condizioni non penalizzanti.

Si tratta di Argentina e Venezuela, due paesi sudamericani ricchi di materie prime e di risorse naturali, caratterizzati dalla presenza di ampie sacche di povertà. Entrambi hanno scelto la strada peggiore per affrontare questi problemi: stampare denaro, accelerare l’inflazione e ricorrere alla spesa pubblica per ‘creare’ artificialmente occupazione. In entrambi i paesi, l’inflazione e la spesa pubblica fuori controllo hanno finito per determinare una situazione di stagflazione (stagnazione ed inflazione) che ha prodotto conseguenze durissime per le fasce più povere della popolazione. Queste politiche hanno provocato anche un peggioramento dell’affidabilità creditizia di questi paesi percepita sui mercati dei capitali e la conseguente impossibilità di accedere a linee di credito (una sorta di isolamento creditizio a livello internazionale).

In Argentina, tra il 2008 e il 2015, l’inflazione ufficiale è stata del 106,7% ma quella rilevata dagli analisti indipendenti ha toccato il 354,6%. Il numero degli occupati nella pubblica amministrazione è passato dai 2.387.000 a 4.232.800 tra il 2003 e il 2014 (quasi il 27% della forza lavoro). La pressione fiscale è la più alta dell’America latina (fino al 62%), il controllo sui prezzi non evita l’inflazione elevata e il controllo sui flussi di capitali non sortisce alcun effetto benefico. La base monetaria è cresciuta del 37,1% su base annua e ad una media del 20% da molti anni. L’ammontare delle esportazioni, nonostante la ricchezza in materie prime, è inferiore rispetto a Cile, Messico, Uruguay e Paraguay. Nel complesso, la crescita dell’economia è molto più bassa di quella dell’inflazione già da molti anni.

Il Venezuela è tra i paesi più corrotti del pianeta e il più corrotto dell’America Latina. Con 82 morti violente ogni 100.000 abitanti, il paese occupa il secondo posto per diffusione della criminalità e violenza. Il Bolivar forte creato da Hugo Chavez si è svalutato continuamente rispetto all’usd negli ultimi dodici anni. Il tasso di povertà supera il 55% e il salario minimo è di 29 usd al mese (meno di un dollaro al giorno). Il paese sta conoscendo una gravissima recessione. Stando alle stime dell’Economist, nel 2016 il Pil è calato del 13,7%, dopo aver già accumulato due anni consecutivi di recessione. Secondo l’Economist, la recessione durerà almeno altri due anni.

Capitalismo e socialismo si sono alternati alla guida del paese negli ultimi quaranta anni senza ottenere risultati in termini di sviluppo. Entrambe le opzioni hanno perseguito strategie miopi, caratterizzate dalla caccia al consenso. Nel primo caso attraverso un sistema di potere in cui due partiti -due facce della stessa medaglia- si alternavano al governo senza proporre valide alternative ai problemi del paese e occupandosi -in via del tutto esclusiva- della gestione (pessima) delle enormi ricchezze petrolifere. Nel secondo caso, quello del socialismo chavista, mediante l’elargizione di contentini ai poveri che non si traducono in una reale integrazione di quest’ampia fascia della popolazione nella vita produttiva del paese.

A cura di: Rocki Gialanella

Parole chiave:

venezuela argentina svalutazione recessione
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