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L’Europa va meglio, ma Wall Street cresce di più

20/09/2017

Dopo l’ennesimo record storico dell’S&P 500, il più importante indice azionario di Wall Street, avevamo fatto una disamina delle aspettative di profitto per i diversi settori dai quali è costituito il benchmark statunitense. Le previsioni di recente sono state riviste al ribasso, anche se comunque per il momento non vi è più di tanto da preoccuparsi, se non per una certa concentrazione settoriale e aziendale del grosso della crescita.

È però innegabile che finora, in concomitanza con il placido andamento economico, non si è visto quello scatto in grado di giustificare un'ulteriore ascesa dal livello attuale, fatto già di quotazioni non facili da giustificare. Anche ipotizzando infatti nel prossimo anno una crescita generosa degli Eps intorno al 7% (per il momento le previsioni del consensus vedono un aumento per il 2018 dell'11%, ma spesso accade che andando avanti le stime vengano ridotte) e un po' di dividendi extra, è difficile immaginare un rendimento complessivo dell’S&P 500 superiore al 10%, a meno di non ipotizzare ulteriori rerating. Questa eventualità è di certo possibile, ma non eccessivamente probabile e forse neppure auspicabile.

È interessante però notare un elemento: oggi l'S&P 500 è su del 12%, mentre lo Stoxx 600 europeo fa fatica a superare il 7%, includendo i dividendi. Il punto cruciale è che finora, pur con una maggiore volatilità trimestrale dei risultati, il 2017 ha visto un recupero degli utili da parte delle aziende europee non da poco: per quanto riguarda il secondo trimestre di quest'anno, per il quale peraltro ancora non ci sono i risultati definitivi, l'incremento dell'Eps medio dello Stoxx 600 segna +16% circa.

Nonostante tutto, dunque, l'equity continentale fa fatica a fare un salto di qualità verso un rerating simile a quello americano. Quest'anno infatti la maggior parte delle performance complessive di tutti gli asset rischiosi europei è stata generata dalla rivalutazione dell'euro, tanto improvvisa quanto virulenta. Si potrebbe notare che le aziende europee vantano una maggiore sensibilità all'andamento dei cambi, il che potrebbe avere riportato a una situazione di correlazione inversa fra euro e azionario. Ma i movimenti sul Forex non sono stati così forti da generare chissà quali preoccupazioni da quel punto di vista (fino a tre anni fa i gruppi del Vecchio continente convivevano con una moneta unica intorno a 1,40) e negli ultimi mesi è stata la domanda domestica il tema dominante da queste parti.

Il problema di fondo è che in Europa permane una scarsa, relativamente parlando, fiducia da parte degli investitori, un fenomeno che non si riscontra in Usa e in Asia, nonostante le minacce nord-coreane. Il risultato è che oggi diverse società europee pagano un dividend yield superiore al rendimento offerto dal proprio debito investment grade, una situazione che la dice lunga su una disaffezione che si fa fatica a superare del tutto.

A questo punto non si può che chiedersi una cosa: il bicchiere è mezzo vuoto o mezzo pieno? Con questo intendiamo porci la domanda se basti pazientare un po' per vedere un‘inevitabile messa in pari dell'equity continentale con l’America, viste anche le sorprese economiche positive del 2017, o se invece il livello attuale rappresenta il massimo di performance che ci si può attendere e, di conseguenza, di fronte a un rallentamento economico dell'Eurozona, ci sarebbe solo da scappare a gambe levate.

Si tratta di un tema che vale certamente la pena affrontare nel prossimo futuro, tentando anche di capire come muoverci nel caso di uno scenario negativo.

A cura di: Boris Secciani

Parole chiave:

S&P500 Stoxx 600 profitti fiducia
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