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L'imprevedibilità dei mercati

20/05/2019

La volatilità che si sta verificando sui mercati ha fornito l'occasione per fare un piccolo esperimento per testare la correlazione fra i mercati sul lungo periodo. Infatti in un mondo conflittuale e con sempre minore crescita e con probabilmente davanti prospettive meno entusiasmanti per gli asset rischiosi, non è difficile immaginare un panorama separato in maniera piuttosto netta fra vincitori e vinti. L'elemento interessante che si scopre è che anche negli ultimi 20 anni, nonostante una fase di esplosione della globalizzazione e catastrofi finanziarie varie, i vari listini azionari in giro per il pianeta hanno mostrato sentieri estremamente diversi gli uni dagli altri. In particolare per questa analisi abbiamo preso i rendimenti mensili dalla fine del 1999 al marzo 2019 di S&P 500, Nasdaq Composite, Dax, Cac 40, Shanghai Composite,  Nikkei 225, Asx 200 australiano, Kospi coreano, Sensex indiano e Bovespa brasiliano.

Un mix geografico e di livello di sviluppo abbastanza variegato che però copre una quantità enorme di capitalizzazione dell'equity mondiale. È interessante notare che da una serie di 231 dati (ovviamente non si tratta di una dataset lunghissimo), è praticamente impossibile ricavare relazioni minimamente sensate, non importa quale sia la variabile dipendente e quale sia il modello adottato.

Non sorprendentemente il mercato cinese appare come particolarmente intrattabile non mostrando corrispondenze, lineari e non, con quasi nessun'altra piazza, se non un minimo con l'Australia e l'India, con cui si può ipotizzare una sorta di effetto Asia, mentre Corea e Giappone sembrano rispondere a dinamiche loro. Specificatamente in questo caso sembra esserci una certa linearità con altre piazze piuttosto cicliche come la Germania, con però una quantità di outlier statistici enorme. Se prendiamo infatti fasi relativamente tranquille dei mercati, con rendimenti mensili compresi fra il -5% e il 5% a livello di Msci Acwi, vediamo che in molti casi Nikkei e Kospi hanno mostrato dati diversissimi dalla media mondiale. 

I mercati occidentali sembrano un po’ più regolari con però anche in questo caso notevoli eccezioni: in generale dati positivi del Cac 40 e del Dax si associano a dati positivi dell’S&P 500, non peraltro perché è molto difficile che l'Europa riesca su base mensile a chiudere in territorio positivo quando le cose vanno male in America.

È interessante notare un elemento: risultati sconsolanti si ottengono anche tentando di fare una semplice previsione binaria (positivo o negativo): usando vari modelli in questo ambito (support vector machine, regressioni logistiche, random forest e altri algoritmi concepiti dalla moderna scienza del machine learning) si ottiene poco nulla. In 2 mila osservazioni usate come training set, nel caso cinese si ottengono risultati intorno al 50%, equivalenti praticamente al lancio di una moneta. Pure nel caso dell'S&P 500 non si va oltre l'85% di accuratezza, un risultato pessimo in una serie di addestramento.

In pratica, pur conoscendo come sono andati tutti gli altri mercati, non c'è modello che sembri dirci con un minimo di precisione com’è andato ciò che vogliamo prevedere. Anche per piazze relativamente più stabili come l'Australia e il Giappone, non si riesce a superare il 70% di risposte corrette. Tale situazione è emersa da quella che può legittimamene considerarsi l'era d'oro della globalizzazione.

L'impressione, andando avanti, è che il solco fra vincitori e vinti, a livello di paesi, aziende, settori e temi dominanti, diventerà molto più netto, con una netta prevalenza dei secondi rispetto ai primi.

A cura di: Boris Secciani

Parole chiave:

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