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Usa: troppe incertezze, la Fed nel 2025 rimarrà prudente
I dazi sono uno strumento negoziale più che strutturale: dovrebbero stabilizzarsi al 12 per cento, con un impatto limitato sull'inflazione, grazie anche al calo previsto dei prezzi energetici. I timori di una recessione sono eccessivi: consumi solidi e crescita dei salari sosterranno l’economia.

Quest’anno l’economia statunitense dovrebbe rallentare più del previsto a causa, soprattutto, dell’accumulo di scorte osservato nel primo trimestre e delle nuove politiche fiscali e commerciali. Nel frattempo, e proprio a causa delle nuove tariffe doganali adottate dall’Amministrazione Trump, l’inflazione rallenterà il percorso di discesa previsto finora. Nonostante la debolezza iniziale, l’economia d’oltreoceano si mostra comunque ancora resiliente, sostenuta da consumi privati solidi e da un’inflazione dei beni che si prevede contenuta. Questo scenario è stato messo a fuoco da George Brown, senior US economist di Schroders, secondo il quale la Fed dovrebbe mantenere i tassi invariati nel 2025, ma nel 2026, sotto una nuova guida, potrebbe avviare graduali tagli. La ripresa è attesa invece nel 2026, quando le tensioni sui dazi si attenueranno e la politica fiscale potrebbe tornare espansiva.
Corretta all’1,7% la stima del PIL 2025, inflazione stabile
In Schroders hanno abbassato all’1,7% le stime del Pil Usa atteso per il 2025, ma per il 2026 prevedono che l’economia crescerà più velocemente, del 2,4%. L’inflazione è attesa stabile al 3,1% sia quest’anno che il prossimo, spinta soprattutto dai nuovi dazi, anziché calare al 2,7%. Ciò ritarderà il calo dell'inflazione core, che dovrebbe scendere sotto il 3% solo entro fine 2026. Brown, sulla base di questa prospettiva, si aspetta che la Fed rimanga quindi ferma, per poi allentare gradualmente le redini del credito a partire dal prossimo anno. Intanto, l’attenzione si concentra sull’immediato. Nel primo trimestre, il PIL ha accusato un calo dello 0,3%, a causa soprattutto delle tensioni commerciali: con le aziende, temendo nuovi dazi, hanno accelerato l’import e accumulato più scorte, mentre i tagli alla spesa pubblica hanno aggiunto ulteriori pressioni. Nonostante ciò, è stata buona la domanda interna: le vendite sono cresciute del 3%, al di sopra della media del 2,6% osservata negli ultimi tre anni.
I dazi come arma negoziale
Va ricordato che questi dati precedono l’annuncio ufficiale dei dazi reciproci. Tuttavia, l’ipotesi di Brown – secondo cui queste minacce commerciali rappresentano principalmente una strategia negoziale – sembra essere confermata, visto che Washington ha adottato sospensioni temporanee di 90 giorni. L’esperto prevede che queste sospensioni diventeranno permanenti, stabilizzando i dazi reali attorno al 12%. Questo livello, seppur più alto rispetto al 3% previsto al termine dell'Amministrazione Biden, rimane nettamente inferiore al 32% che si sarebbe raggiunto applicando integralmente le nuove tariffe. Dal punto di vista dell’inflazione, Brown sostiene che l’impatto dei dazi sarà contenuto. Quella sui beni principali dovrebbe toccare un massimo che equivale a circa la metà di quello visto subito dopo la pandemia e dovrebbe avere effetti marginali sui prezzi dei servizi. Inoltre, l’aumento atteso sarà probabilmente compensato dalla riduzione dei prezzi energetici, dato che i contratti future sul petrolio indicano un valore inferiore di 10 dollari rispetto alle stime precedenti. Di conseguenza, conferma la previsione per l’inflazione CPI nel 2025 al 3,1%.
Timori di recessione esagerati
Intanto, secondo l’esperto, i timori di una recessione segnalati un po' dovunque appaiono esagerati. Sebbene la spesa delle famiglie possa risentire di un rallentamento, non è previsto un vero e proprio calo, grazie a una crescita dei salari reali del 2%, che dovrebbe compensare l'aumento dei prezzi. Le imprese, dal canto loro, potrebbero reagire all’incertezza sui dazi limitando nuove assunzioni e investimenti, piuttosto che adottare misure drastiche. La flessione del PIL nel primo trimestre dovrebbe quindi ridursi nel tempo, portando la crescita media del 2025 all’1,7%, in discesa rispetto alla precedente stima del 2,5%, ma destinata a risalire al 2,4% nel 2026, quando il quadro commerciale sarà più chiaro e la politica fiscale più favorevole.
La Fed adotta una strategia prudente
In questo contesto di equilibrio precario, sul filo tra crescita e inflazione, mantenere i tassi d’interesse stabili è la scelta più prudente per la Fed nel 2025. Le ipotesi di aumenti nel 2026 appaiono invece ora meno probabili. La revisione della strategia monetaria prevista per agosto potrebbe - secondo Brown - introdurre nuovi orientamenti, ma il vero punto di svolta arriverà con la nomina del successore di Powell, da cui si attende un progressivo ritorno a una politica più neutrale, in risposta al previsto calo dell'inflazione nel corso del prossimo anno.