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India, povera ma bella

12/08/2018

Abbiamo in alcune occasioni analizzato lo status dei mercati emergenti dividendo questo vasto insieme in due gruppi: le nazioni con un saldo positivo di partite correnti e le altre, invece, in deficit. Avevamo anche specificato che era il primo gruppo quello nel quale cercare occasioni per guadagnare esposizione a questa asset class nell'area del Far East industrializzato il cui futuro immediato appare piuttosto incerto, vista la minaccia di guerra commerciale.

Nello specifico Malaysia e Thailandia erano state indicate come mercati squisitamente growth, con alle spalle economie che presentano caratteristiche intermedie fra il sud e il nord del continente. In realtà però anche nell’ambito delle economie più fragili (un deficit perenne di partite correnti non è mai un buon segno per i fondamentali di un paese) troviamo alcune situazioni che meritano quanto meno un'analisi specifica.

Il caso più clamoroso è quello dell'India, che addirittura molti investitori cominciano a considerare una sorta di rifugio sicuro all'interno degli emergenti. Le fragilità del paese sono note: l'economia locale è gravata da un eccesso di debiti, a sua volta generato da una forte inefficienza in diversi settori. Il decollo industriale/tecnologico/imprenditoriale è sempre a rischio a causa della burocrazia, dell'instabilità di alcune regioni, della scarsità di risorse naturali e di diversi altri elementi.

La imperfetta modernizzazione di questo subcontinente si evince appunto dall'ingente debito estero e da un saldo di partite correnti che praticamente non ha mai registrato un segno più in tutta la sua storia moderna. Anche se va detto che comunque i disavanzi, in relazione al Pil, sono piuttosto modesti (-2% nel 2017, -0,7% nel 2016), il che testimonia il relativo isolamento dell'economia indiana.

La rupia si è mossa in questo 2018 come ci si aspetta che reagisca una divisa di un'economia emergente durante una fase di avversione al rischio nei confronti di questa asset class: svalutandosi in maniera non indifferente. Dalla fine del 2017 a oggi il dollaro si è apprezzato di oltre il 7%, la percentuale maggiore di rivalutazione rispetto a tutte le monete del continente asiatico.

Eppure il mercato azionario di Mumbai continua ad andare benissimo: il Sensex, il maggiore indice equity locale, dall'inizio dell'anno è in rialzo di oltre l'11%: anche tenendo conto del pessimo andamento della rupia, si tratta di un rendimento più che dignitoso in questo 2018 e imparagonabile a quello della maggior parte degli emergenti, in particolar modo i paesi con problemi di competitività estera. Il benchmark indiano è ai massimi storici e dalla seconda metà del 2016 è entrato in una fase di perenni rialzi accompagnati da una volatilità appena un po’ più alta di quella statunitense.

Questo movimento si va inserire all'interno di un bull market storico partito cinque anni fa e interrotto solamente nel periodo 2015-2016. Tale andamento, completamente decorrelato rispetto alle economie della regione e nei confronti della propria valuta, segue però un percorso piuttosto chiaro: gli investitori in pratica seguono con una forte attenzione l'andamento macro dell’India. In poche parole il boom dell'ultimo quinquennio, in controtendenza rispetto al resto degli emergenti, è stato generato dal grande processo di riforme avviato dall'amministrazione del premier Modi, che sta tentando di portare una rivoluzione copernicana. Non a caso attualmente per l'anno fiscale in corso (si concluderà a fine marzo 2019) è prevista una crescita economica del 7,3%, mentre per quello successivo addirittura del 7,5%.

Questi valori pongono il colosso asiatico ai massimi vertici mondiali e promettono di costituire una piattaforma per un'ulteriore salto di qualità in futuro verso incrementi dell'output economico ancora più robusti, qualora la politica e la comunità imprenditoriale locale dovessero proseguire nei propri sforzi di modernizzazione e riforma. Di conseguenza quello indiano è un listino fortemente caratterizzato dal suo legame con il quadro macro locale: non a caso i momenti di maggiore volatilità hanno coinciso con fasi di dati economici non entusiasmanti, come ad esempio dopo l'introduzione della tassa sui consumi. L'India dunque rappresenta l'ultima grande avventura di crescita e di riscatto dalla povertà di una porzione imponente del genere umano (in attesa che anche l'Africa decolli). Per varie ragioni tale fenomeno di progresso epocale potrebbe vedersi traslato più facilmente che in Cina in corsi azionari più elevati. La prossima volta vedremo se e in quali termini valga la pena affrontare una tale scommessa. 

A cura di: Boris Secciani

Parole chiave:

india sensex rupia mercati emergenti
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