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Pericolo mediocrità

22/03/2017

La giornata di martedì 21 marzo ha portato il calo peggiore nell'S&P 500 nel 2017, anche se il declino totale (poco più dell'1,2%) non è certo di quelli da lasciare il segno. La questione interessante che si sta ponendo però, è che cosa si dovrebbe e si potrebbe fare, nel caso in cui il paradigma degli ultimi mesi non si realizzasse.

Qualche segnale comincia a esserci: ad esempio il dollaro sembra godere oggi di molta minore fiducia da parte degli investitori rispetto a qualche settimana fa, in particolare dopo la riunione della Fed. Ovviamente è ancora presto per cominciare a disperarsi, però tra caos politico in Asia, incertezze europee, avvio stentato della nuova amministrazione Usa su molti temi e venti di protezionismo e discordia in generale a livello globale, non si può escludere che il mondo ricada nella mediocrità economica di qualche tempo fa.

La questione non è irrilevante. Infatti si sarebbe tentati di sostenere che alla fin fine i mercati degli asset rischiosi sono andati avanti per quasi un decennio con alle spalle un quadro macro insignificante. Il problema, però, è che tornare indietro da aspettative completamente diverse non sarebbe gioco forza indolore. Non peraltro perché comunque di recente è avvenuta una forte rotazione verso alcuni comparti negli ultimi anni ampiamente negletti.

Pensiamo agli industriali, all'energia, al settore minerario, agli armamenti e a tutto quel mondo B2B che ha assunto, a partire grosso modo dal 2013, caratteristiche fortemente value. È stato visto che un errore nella politica monetaria da parte della Fed, per tacere di un possibile tapering troppo rapido da parte della Bce, rischierebbe di fare saltare tutto. I pericoli ovviamente verrebbero amplificati se ci si mettesse di mezzo anche un Congresso statunitense litigioso, non in grado di fare passare tagli alle tasse e piani infrastrutturali, nonché un'Europa inchiodata all'austerity. Per tacere dei possibili problemi cinesi.

E se ci sono i rischi che potrebbero essere provocati da errori delle autorità monetarie, forse non del tutto consce di quanto i mercati siano diventati dipendenti dalla droga dei tassi a zero del quantitative easing nel corso degli anni, nella carrellata di possibili cigni se non neri almeno grigiastri occorre aggiungere un'incertezza politica difficile da quantificare. Con essa però non è da intendere ciò che viene comunemente inteso, ovvero l'ascesa del populismo mondiale, verso cui gli investitori, come si è visto, alla fin fine sono in grado anche di mostrare apprezzamento.

Il pericolo maggiore è invece ricadere nell'immobilismo degli scorsi anni, senza però la cocaina monetaria. Proviamo per un momento infatti a immaginare una Fed impegnata a riportare i Fed Fund intorno al 2-2,5%, mentre l'economia americana rimane inchiodata al 2%, con una presidenza Trump ferma al ruolo di versione di destra del secondo mandato di Obama, ossia il totale immobilismo al di fuori di cicaleggi ideologici. Oppure a un'economia dell'Eurozona che ritorna a crescere in un'area più vicina all'1% che al 2%, con però un tasso di inflazione più elevato, in particolar modo in Germania, tanto da indurre un ribaltamento nei rapporti di forza fra falchi e colombe in seno alla Bce.

In pratica uno scenario da incubo, da cui non sarebbe così facile proteggersi, visti anche i prezzi non proprio da svendita di fine anno degli asset rischiosi. In verità probabilmente oggi una maniera per proteggersi dallo scenario caotico c'è, ed è quella di comprare euro e yen contro dollaro. Varrà certamente la pena approfondire l'argomento.

A cura di: Boris Secciani

Parole chiave:

Rischio politico Banche centrali Tassi immobilismo
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