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Un primo passo verso l’uscita dal QE

09/03/2018

Nel corso della riunione del board della Bce di ieri, Draghi ha affermato che continuerà a monitorare con attenzione il tasso di cambio a causa dei suoi effetti sull’inflazione, ma ha altresì sottolineato come il programma di stimoli sia essenziali per garantire la ripresa della dinamica inflazionista nell’eurozona

La Bce ha reso note anche le nuove stime sull’andamento del Pil e dell’inflazione nell’eurozona. Per quanto riguarda il Pil, la stima per il 2018 si attesta al 2,4% rispetto al precedente 2,3%. Per il 2019 le attese fotografano la variazione della crescita all’1,9% rispetto al precedente 1,7%.

Per quanto riguarda l’inflazione, le stime restano stabili per il 2018 all’1,4%, ma sono state tagliate all’1,4% per il 2019 (dal precedente 1,5%). Nel medio termine (2020), viene confermata l’attesa per una variazione annua dei prezzi al consumo dell’1,7%.

La Bce ha confermato la sua forward guidance e i volumi di acquisti di titoli fino a settembre o anche oltre se lo terrà necessario. Confermati anche gli attuali livelli dei tassi d’interesse, che resteranno bassi ancora per un lungo periodo. Tuttavia, l’istituto ha scartato un ampliamento dei volumi di acquisti, attraverso i quali inietta 30.000 mln di euro nel mercato ogni mese. Le decisioni odierne sono state prese dal board all’unanimità.

Il governatore si è detto preoccupato per la volontà, espressa dal presidente statunitense Trump, di introdurre misure protezioniste e per i potenziali effetti di tali politiche sui mercati e sulle divise. Nel breve termine gli effetti non saranno così intensi, ma non bisogna sottovalutare che in passato l’adozione di politiche protezioniste da parte degli Usa sono sempre sfociate in una fase di rafforzamento del biglietto verde. Draghi ha invitato le autorità statunitense a risolvere la disputa attraverso meccanismi multilaterali.

Un passaggio obbligato della press conference di Draghi è quello relativo alla richiesta d’implementazione di riforme strutturali da parte degli stati membri dell’Unione, in particolare quelle aventi ad oggetto il mercato del lavoro. In caso contrario, ha affermato il governatore, gli stimoli di politica monetaria non riusciranno a produrre gli effetti sperati sull’economia reale.

Nessun riferimento specifico al risultato delle elezioni politiche italiane, ma Draghi ha ancora una volta sottolineato che la situazione dei paesi con un debito pubblico molto elevato viene continuamente monitorata dall’istituto.

Pur riconoscendo che il crescente protezionismo e la forza dell’euro potrebbero rivelarsi fonti di rischio in futuro, la Banca centrale europea ha innalzato al 2,4% le sue previsioni sulla crescita per il 2018. È importante notare che il Consiglio direttivo ha anche rinunciato all’impegno di aumentare l’entità e la durata del programma di acquisto degli asset, se necessario.

Da questo momento in poi, è possibile che la Bce si avvii verso un inasprimento della politica monetaria. I passi successivi consisteranno, probabilmente, nell’annuncio di un’ulteriore riduzione del programma di acquisto degli asset, prima di porvi fine nel corso dell’anno. Nel 2019 potrebbero seguire aumenti dei tassi di interesse.

Secondo Stefan Isaacs, deputy head del team Retail Fixed Interest di M&G, questo approccio è in linea con la crescita economica superiore ai trend, con la riduzione costante dell’eccesso di capacità produttiva, e con le pressioni inflattive al rialzo verso il target prestabilito. Tutto ciò potrebbe esercitare ulteriori pressioni sui rendimenti dei titoli di Stato, in particolare nella parte corta della curva, ed è probabile che vada a beneficio delle industrie cicliche e che continui a sostenere gli asset rischiosi.

A cura di: Rocki Gialanella

Parole chiave:

bce draghi qe titoli
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