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Il ritorno del biglietto verde

15/05/2018

Una politica commerciale protezionista, tagli alle imposte, deficit fiscale in aumento e avvio di un ciclo di rialzi dei tassi d’interesse. L’attuale scenario politico-economico statunitense somiglia molto a quello visto nei primi anni ’80, quando Ronald Reagan era alla presidenza del paese. Adesso resta solo da vedere se questo mix di provvedimenti sfocerà –come allora- in una forte rivalutazione del dollaro.

Nel corso dell’ultima riunione del board della Fed, l’istiuto ha optato per un rialzo del costo del denaro di un quarto di punto che ha fissato il nuovo range di riferimento a 1.5-1.75%. La politica più restrittiva da parte della Banca centrale sarà accompagnata da deficit fiscali più elevati a causa del recente taglio delle tasse. La stessa combinazione ha avuto luogo negli anni ’80 e il risultato di medio termine fu un dollaro onnipotente, che si rivalutò del 50% nel periodo 1980-1985 rispetto alle divise più importanti del mondo. Questo trend si chiuse il 22 settembre del 1985, quando i responsabili economici di Stati Uniti, Germania, Giappone, Regno Unito e Francia si accodarono per intervenire in maniera coordinata e frenare l’apprezzamento continuo del biglietto verde.

Sotto la guida di Ronald Reagan fu approvato nel 1981 l’Economic Tax Act, che ridusse in maniera drastica le tasse sul reddito delle persone fisiche e quelle sui patrimoni. Questa decisione, unita all’aumento della spesa pubblica, pilotò il deficit pubblico dal 2.5% del 1981 al 6% del 1983. Reagan decise di muovere contro l’industria automobilistica giapponese – la cui crescita stava mettendo in seria difficoltà quella statunitense- e raggiunse un accordo con le autorità di Tokio per ridurre dell’8% l’export di auto nipponiche verso il mercato Usa. Attualmente nel mirino di Trump c’è l’industria cinese. Il presidente Usa sta chiedendo a gran voce a Pechino di trovare una formula per ridurre il suo enorme surplus commerciale con gli Usa. Gli Usa hanno maturato nel 2017 un deficit commerciale con la Cina di 566 mld di dollari.

La riforma fiscale, il rialzo dei tassi e le politiche protezioniste, sono forze che giocano a favore della forza dell’usd. Il 1° marzo, quando Trump annunciò i dazi sull’alluminio e l’acciaio, il mercato azionario accusò il colpo e il dollaro si rafforzò. Questo potrebbe essere un primo segnale del trend che potrebbe materializzarsi nei prossimi anni? La teoria economica dice che i dazi riducono in un primo momento le importazioni e l’offerta di dollari sui mercati internazionali, favorendo l’apprezzamento della divisa. Tuttavia, i dazi possono avere ripercussioni negative per la crescita dell’economia e sui consumi. L’avvio di una fase di rafforzamento del biglietto verde potrebbe vedersi con maggiore chiarezza quando si stabilizzerà il rendimento dei Treasury bond.

I rendimenti offerti dai titoli di stato Usa saranno realmente in grado di calamitare enormi masse di denaro solo quando le quotazioni dei titoli si stabilizzeranno. Fino a quando i rendimenti dei Treasury continueranno a salire, gli investitori internazionali considereranno rischioso l’investimento in quest’asset. Al contrario, quando le cedole dei Treasury si saranno stabilizzate su livelli appetibili, i flussi diretti verso questi strumenti potrebbe essere tali –e in passato lo sono stati- da avviare un trend di rafforzamento del biglietto verde.

La situazione attuale è simile ma non identica a quella vista negli anni ’80. La politica fiscale non sarà così espansiva come quella promossa da Reagan (né dal lato della spesa pubblica né da quello del taglio delle imposte) e la politica monetaria restrittiva potrebbe trovare il suo tetto al 3% in uno scenario in cui l’inflazione sembra essere sotto controllo. Se ne deduce che il rafforzamento dell’usd potrebbe non essere così intenso come quello sperimentato in quegli anni.

A cura di: Rocki Gialanella

Parole chiave:

fed reagan dollaro usa
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