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Strategie islandesi

21/05/2018

La Banca centrale islandese, memore di quanto accaduto in occasione dell’ultima crisi finanziaria globale, si sta muovendo con estrema prudenza sui mercati internazionali dei capitali

Un paese che ha poco più di 300.000 abitanti e un Pil di 21.192 mln di euro è come una formica in un parco pieno di bambini. Qualsiasi movimento finanziario può danneggiare un’economia di piccole dimensioni che ha una netta propensione ad aprirsi al mondo. Le preoccupazioni sono fondate perché gli investitori internazionali continuano a mostrare un forte appetito per gli asset islandesi e la pressione esercitata dal turismo (in netta ascesa) stanno rendendo le cose difficili.

La banca centrale islandese crede che senza i controlli e la normativa vigente, i flussi di denaro in ingresso potrebbero subire un’accelerazione tale da provocare un rapido apprezzamento della corona islandese e un conseguente squilibrio della bilancia delle partite correnti. Lo scenario temuto dalla Banca Centrale è quello già visto prima dello scoppio della bolla dei subprime e il risultato fu allora una contrazione del Pil del 15% in un lasso di tempo breve.

L’istituto ha già optato per cinque tagli al costo del denaro a partire dal 2016, ma non dispone di ulteriori margini di manovra a causa della forte crescita del Pil e di un’inflazione che si mantiene sopra il target fissato dalle autorità locali. Per queste ragioni, la normativa e la regolamentazione dei flussi di capitali stanno aiutando l’istituto a centrare obiettivi che la politica monetaria non consente di perseguire.

Per cercare di evitare il peggio, nel 2016 sono entrate in vigore alcune misure che puntano a frenare i flussi di capitali diretti verso il paese. La norma più importante e controversa obbliga gli investitori stranieri che vogliono destinare risorse ad asset islandesi ad apportare una garanzia pari al 66% dell’investimento complessivo. Questa somma deve essere depositata per un anno su un conto non remunerato. La norma punta ad evitare che i flussi in entrata e in uscita siano talmente intensi da danneggiare l’economia dell’isola. L’obiettivo è dare maggiore stabilità ai capitali in entrata e frenare l’ingresso di capitali a caccia di operazioni speculative di breve termine.

La Banca centrale spiega il funzionamento della normativa sul suo sito web in questo modo: un investitore straniero che voglia investire in titoli di stato islandesi cambia la sua divisa per 100 corone islandesi; successivamente dovrà depositare 40 (corrispondenti al 66% dei 60 investiti) delle 100 in un conto per la dodici mesi, indipendentemente dalla durata dell’investimento. Trascorso l’anno, l’investitore può ritirare il denaro e decidere se investirlo completamente in Islanda o cambiarlo in un’altra divisa per portarlo all’estero.Il sistema viene applicato a tutti i depositanti stranieri che vogliano puntare a realizzare guadagni con il carry trade.

Nel corso del 2017, il Governo ha invece optato per la rimozione dei controlli sui capitali imposti nel 2008, che impedivano la fuoriuscita di capitali verso l’estero. Con queste misure –introdotte dieci anni fa- il Governo è riuscito a stabilizzare il cambio ed evitare una severa e duratura recessione imputabile alla perdita di valore della divisa. L’anno scorso il paese ha concluso un accordo con i possessori di asset stranieri denominati in Corone islandesi con l’obiettivo di salvaguardare la stabilità del cambio della corona. La Banca Centrale si è impegnata ad acquistare tali asset (pari a 1.740 mln di euro a febbraio 2017) mediante il ricorso alle sue divise di valuta estera (attualmente ai massimi).

A cura di: Rocki Gialanella

Parole chiave:

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