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L'Italia, un paese con poche opzioni

20/10/2018

Con lo spread del Btp sul Bund che nella giornata di venerdì 19 ottobre ha toccato quota 340 per poi ritracciare, la paura per la situazione economica dell'Italia è tornata a farsi sentire in maniera importante, dopo qualche giorno di relativa calma. La contingenza attuale è interessante anche perché permette di analizzare la situazione economica attuale al di là delle polemiche politiche che stanno accompagnando la manovra di bilancio.

Uno degli aspetti interessanti che si evidenziano quando si analizza qualche dato di base è che la congiuntura del paese si stava già deteriorando ben prima dell'attuale fase di conflitto con l'Unione Europea e ben prima del rialzo dei conti pubblici. In realtà per certi versi è almeno dalla seconda metà del 2016 che certe magagne stavano tornando a galla.

Per farla breve forse diverse polemiche ideologiche e politiche di queste settimane nascono anche da un equivoco: in pratica non ci si è resi del tutto conto che la ripresa del nostro Pil nel 2017 (+1,5%) è arrivata in gran parte dalla forza della domanda internazionale, grazie soprattutto a una performance molto brillante dell'export e molto meno dalla domanda domestica. Quest'ultima poi ha visto una maggiore brillantezza relativa a livello di investimenti piuttosto che di consumi.

Attenzione all'uso del vocabolo “relativa“: in realtà i consumi sono cresciuti in termini assoluti più nel 2017, in cui il loro incremento ha superato l'1%, piuttosto che nel 2016. In quell’anno, però, in cui il nostro output economico è venuto su dello 0,9%, le famiglie hanno contribuito per una cifra più o meno equivalente all'aumento totale dell'intera economia.

In pratica è da un triennio che in maniera modestissima le famiglie sono tornate a spendere, senza mostrare però alcuna vivacità oltre un certa soglia di ripresa minima. Il vero cambiamento è da ricercare nel salto di qualità di diverse industrie esportatrici, che ad esempio hanno mostrato una vivacità mai vista prima nei paesi emergenti e in Giappone, e nella ripresa di alcuni comparti capital intensive come l'edilizia, che peraltro partivano da livelli di profonda crisi.

In tutto questo insieme un effetto fiducia per quanto riguarda la propensione e la capacità di spesa delle famiglie italiane, a parte il comparto auto la cui ripresa ha peraltro praticamente succhiato l'intero aumento dei consumi, non si è molto visto. Venuta meno la spinta derivante dall'estero, l'economia italiana si è ritrovata di nuovo praticamente nuda in tutte le sue fragilità, in quanto priva di un mercato interno in buone condizioni.

Questo discorso ha collegamenti precisi anche a livello finanziario: l'Italia deve, anche senza ipotizzare una vera e propria fuga degli investitori esteri dal proprio debito, fronteggiare la fine del Qe. È bene ricordare che Bce e Bankitalia, su mandato della prima, nel 2016 e nel 2017 hanno comprato oltre 220 miliardi di euro di titoli di Stato. Si tratta di una cifra parecchio superiore all'ammontare delle nuove emissioni nette. Dall’inizio degli anni ’90, di converso, la quota di debito pubblico detenuta dalle famiglie italiane è passata da oltre il 70% a poco più del 10%. In questi giorni si parla spesso di volere ri-nazionalizzare il suddetto debito, coinvolgendo sempre di più la liquidità del nostro paese anche con ventilati vantaggi fiscali.

Vista la tendenza degli ultimi decenni e data la situazione di scoramento e di non elevatissima capacità finanziaria da parte degli italiani, questo piano appare, a essere benevoli, in pesante salita. In questi giorni, inoltre si discute moltissimo, comprensibilmente, su quale potrebbe essere il limite del calo dei corsi del nostro debito e in quale momento potrebbe valere la pena tornarea comprare. La risposta ovviamente non è facile: certo è che ciò che tuttora manca è un canale chiaro di denaro da veicolare su tale asset. Pensare di mobilitare il sistema finanziario italiano è piuttosto complicato, per una serie di ragioni che vedremo in futuro, e il piano che coinvolgerebbe le famiglie per le ragioni che abbiamo esposto sembra completamente irrealistico. Gli investitori istituzionali stranieri dall'altra parte vogliono precise garanzie per rientrare su bond che in un passato non troppo lontano hanno mostrato cadute ben più catastrofiche di quella attuale.

L'unica risposta al quesito dunque è questa: si potrà essere ragionevolmente certi della fine del trend ribassista del Btp o quando la nostra manovra verrà completamente cambiata con essenzialmente un'abiura di tutte le promesse fatte da parte del governo o se e quando verrà assicurato un supporto ulteriore da parte della Bce ai piani attuali. Fino ad allora gli spazi di caduta sono ancora molto ampi.

A cura di: Boris Secciani

Parole chiave:

Italia Btp economia domanda interna
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