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Cresce il peso degli algoritmi nella gestione del risparmio

22/02/2019

Per anni il mercato ha speculato sulla possibilità che i traders specializzati nell’elaborazione dati piuttosto che nell’analisi economica sarebbero riusciti a conquistare una fetta importante del mercato.

Ebbene quel giorno sembra essere arrivato se osserviamo il peso dei quants e dei loro algoritmi sul mercato azionario statunitense. Attualmente solo il 30% della liquidità che si muove giornalmente nei listini azionari Usa viene controllato dai broker. Il restante 70% dei volumi negoziati è nelle mani di algoritmi

Questa situazione non è di per sè un male perché le macchine non puntano, a differenza di quello che invece tendono a fare gli umani, a giocare con la volatilità e con i fenomeni che possono alterare sensibilmente il livello di volatilità delle Borse (come la Brexit ancora irrisolta o le periodiche crisi italiane). Le macchine non hanno sentimenti e non hanno paura di quello che può accadere in casi di incertezza estrema a livello politico o sociale. Quel 70% di negoziazioni quotidiane controllate dagli algoritmi può innescare un flash crash solo se una quota consistente di investitori si lascia dominare dal panico.

La crescita esponenziale dei sistemi automatici di trading ha completamente cambiato il volto del mercato azionario più importante del pianeta: quello statunitense. La quota di liquidità gestita giornalmente dagli algoritmi negli Usa è passata dal 25% del 2004 al 70% dei nostri giorni. Nel Vecchio Continente la percentuale nelle mani delle macchine è salita al 40% rispetto a meno del 5% di quindici anni addietro. Anche in questo caso il balzo è stato tale da sconvolgere la vita quotidiana delle Borse.

A livello di singole asset class, il mercato del reddito fisso è quello con contenuto di automazione delle negoziazioni: solo il 10% del totale è nelle mani delle macchine e il 90% resta saldamente nelle mani degli investitori.

L’investimento realizzato attraverso algoritmi ha tratto enormi benefici dalle forze che hanno trasformato i mercati negli ultimi anni. In particolare l’adozione di una normativa più restrittiva avrebbe comportato maggiori vincoli ai money manager e minori chance di entrare in possesso di informazioni relative ai manager che gestiscono le aziende (una variabile chiave nella selezione dei titoli da inserire in portafoglio per i gestori tradizionali). L’altro vantaggio è ovviamente di tipo numerico: i quants hanno a disposizione un oceano di dati sull’economia globale e la finanza (e sono capaci di sviluppare modelli in grado di analizzarli nel dettaglio).

Il successo dei quants non è una semplice moda: i computer che eseguono gli ordini di acquisto/vendita basandosi sui modelli messi a punti da questi professionisti stanno battendo, in molti casi, i portafogli costruiti dagli esperti della finanza. Tuttavia, la diffusione dei quants (esperti di analisi dati e della gestione delle informazioni quantitative) implica un rischio poco avvertito dagli investitori: cresce a ritmi esponenziali la probabilità di disporre di algoritmi similari e il rischio che, in un mercato alterato e distorto, questi strumenti finiscano con l’aggravarne le distorsioni.

Nel Vecchio Continente sta crescendo anche la quota di negoziazioni che è nelle mani dei listini denominati dark o off-book. L’istituzione che governa la politica monetaria nell’eurozona ha sottolineato che la crescita di questi mercati affonda le sue radici nel processo d’implementazione della Mifid, partito nel 2007. La Mifid pone le condizioni per l’adozione di requisiti di trasparenza in tutti i listini azionari europei e questo tipo di informazione può essere individuata e utilizzata da altri operatori per trarne dei vantaggi. Al contrario, i dark pools consentono ai partecipanti alle negoziazioni di continuare a operare nella totale oscurità.

A cura di: Rocki Gialanella

Parole chiave:

gestione risparmio gestito algoritmi mercati
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