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Emergenti, occhio all’Asia

15/03/2019

Molti paesi facenti parte dell’universo emergenti hanno imparato lezioni importanti dalle ultime crisi. Le banche centrali di questi paesi hanno guadagnato credibilità e paesi come la Cina hanno imparato a controllare l’inflazione attraverso un mix di politiche di bilancio e monetarie.

È vero, fare affari in una regione così ampia e estremamente diversificata come questa comporta una serie di sfide. Le oscillazioni dei prezzi delle commodity e del sentiment degli investitori globali hanno ancora la capacità di danneggiare le singole economie in varia misura, e molto c’è ancora da fare per rimuovere gli ostacoli per efficientare il flusso di servizi e manodopera, ridurre i costi delle transazioni finanziarie transfrontaliere ed erodere le barriere non tariffarie. In tutti i casi, l’approccio all’investimento in azioni di questi mercati dovrebbe essere guidato dalla consapevolezza che la spinta offerta dalle dinamiche economiche interne potrebbe dover fare i conti, periodicamente, con influenze negative derivanti da fattori esterni.

La capacità di sopportare la volatilità di questi mercati è fondamentale per mantenere la rotta nel lungo termine. Gli investitori sono soliti abbandonare questi listini non appena si materializzano momenti di difficoltà o cadute temporanee delle quotazioni (che possono essere anche brusche). Problemi di governance ancora irrisolti e fattori politici, rendono i listini asiatici ancora imprevedibili e volatili nel breve termine.

Tra gli emerging markets, l’Asia si è trasformata in una delle aree geografiche in cui, secondo la maggior parte dei gestori, conviene rimanere investiti nel medio-lungo termine. L’importanza di una quota di portafoglio destinata alle azioni di quest’area trascende dall’impostazione speculativa di breve termine ed esula da variabili che, nel corso del 2018, hanno pilotato le quotazioni verso il basso. Eclissati dall’ombra del gigante cinese ed etichettati come mercati emergenti per un lungo periodo di tempo, alcuni di questi paesi vengono attualmente considerati dagli investitori professionali come mercati sviluppati. Nonostante ciò, la ponderazione di questi listini all’interno degli indici azionari non riflette ancora l’importanza raggiunta dalla loro crescita economica e dalle loro relazioni commerciali.

La Corea del Sud è un esempio di sotto-ponderazione di un mercato azionario asiatico considerato ormai dai più come facente stabilmente parte del gruppo dei paesi sviluppati. La Corea del Sud è la dodicesima economia del pianeta e supera paesi europei del calibro della Spagna. Un limite all’espansione dei mercati azionari asiatici all’interno dei principali indici mondiali è dato dal livello di capitalizzazione e dalla quota di mercato negoziabile dagli investitori internazionali. Attualmente, il peso di questi mercati azionari ha raggiunto il 25% della capitalizzazione globale delle Borse mondiale ma soltanto il 15% è negoziabile dagli investitori stranieri.

Il processo di consolidamento è in corso ma Usa, Europa e il non lontanissimo Giappone sono ancora mercati molto più maturi. Questo però non giustifica la sottoponderazione di questi listini nei portafogli d’investimento globali. Il motivo? Da qualche anno a questa parte, l’area è quella che registra i tassi di crescita economica più sostenuti.

Le stime messe a punto dalle principali società di consulenza indicano che, entro il 2030, quattro delle cinque maggiori economie del pianeta saranno asiatiche. Se queste stime troveranno conferma nella realtà, l’adeguamento della composizione dell’asset allocation dei portafogli d’investimento sarà inevitabile.

A cura di: Rocki Gialanella

Parole chiave:

Asia politica monetaria inflazione banca centrale
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