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L’inflazione: non fa paura, però...

La predisposizione delle Fed nei confronti della propria politica monetaria è cambiata alla luce dei recenti dati sull’inflazione, rivelatisi più alti delle attese. Secondo la visione aggiornata dei consiglieri del FOMC, il primo rialzo dei tassi dovrebbe avvenire per fine 2022.

25/06/2021
Palazzi al centro di New York
Le tensioni inflative hanno messo in agitazione i mercati

Il rialzo dell’inflazione, al momento, non fa tremare i polsi ai banchieri centrali, ma ha già messo in allerta i mercati finanziari. Sia la Fed sia la Bce manifestano un atteggiamento tranquillo al riguardo, descrivendo il trend dei prezzi come un fenomeno temporaneo. Per quanto riguarda l’Eurozona, ha dichiarato il Presidente della Bce, Christine Lagarde, gli effetti internazionali dell'inflazione statunitense possono essere amplificati se gli europei fondano le loro aspettative anche sulla base di ciò che accade oltreoceano, complessivamente però questi effetti sull'inflazione dell’Eurozona sono attesi essere moderati.

Lagarde, i rischi sulla crescita sono equilibrati

Insomma, la numero uno dell’Eurotower non è per nulla preoccupata per l’andamento dei prezzi, né per il ritmo assunto dall’economia. I rischi che circondano le prospettive di crescita, ha affermato durante un’audizione presso la commissione affari economici del Parlamento europeo, sono diventati ampiamente equilibrati: mentre quelli di peggioramento dipendono dalle mutazioni del virus e continuano a essere una fonte di pericolo, quelli di miglioramento hanno a che fare con migliori prospettive della domanda globale e con l'aumento più rapido della spesa per consumi, che potrebbero risultare in una ripresa più forte. Insomma, non ha fatto alcun accenno a proposito delle recenti tensioni sui prezzi.

La predisposizione della Fed è cambiata

Eppure, l’umore dei mercati globali nelle ultime sedute è cambiato in modo significativo e il ‘là’ è arrivato, come spesso accade, dagli Stati Uniti. La Federal Reserve, in linea con le attese, ha confermato sì i tassi di interesse allo zero-0,25% (livello cui sono stati portati nel marzo 2020 per contrare gli effetti della pandemia sulla congiuntura), ma ha anche lanciato un chiaro avviso, anticipatore, di una maggiore predisposizione verso una politica più restrittiva anche sul lungo termine. Di più non poteva fare, né dire, per non strozzare la ripresa in atto e che, comunque, è ancora alle prese con le incertezze della pandemia.

I banchieri accorciano i tempi per un rialzo dei tassi

Il meeting del FOMC si è invece focalizzato sulle proiezioni economiche e sul ‘dot pot’, il grafico che illustra ogni tre mesi le previsioni sui tassi dei 18 membri del comitato. Nell’insieme i banchieri non prevedono alcun rialzo quest’anno (in linea con dicembre e lo scorso marzo), ma nel frattempo è aumentato il numero di quelli che prevedono rialzi nei prossimi due anni. Il ‘dot pot’ aggiornato rivela che 7 componenti prevedono aumenti dei tassi nel 2022 (a marzo erano quattro e a dicembre uno). I componenti che prevedono un aumento nel 2023 sono nel frattempo diventati 13 (mentre 7 a marzo e a dicembre solo 5).

Schroders, attesa forte crescita nel secondo e terzo trimestre

Per la Fed si tratta di un notevole cambio di passo. Le revisioni al rialzo delle aspettative su crescita e inflazione per il 2021 non sono una sorpresa, ma – ha argomentato Keith Wade, chief economist di Schroders, l’aumento dei membri del FOMC che mirano ad alzare i tassi entro la fine del 2023 ha preso i mercati alla sprovvista. Questa svolta è in linea con le aspettative della banca d’affari: la Fed inizierà il tapering a fine anno e alzerà i tassi a fine 2022. Una view, spiega, sostenuta dalla forte crescita prevista nel secondo e terzo trimestre 2021 e da un outlook che continua a essere positivo. Ci sono quindi i presupposti perché l’economia Usa, e di riflesso quella mondiale, si muova verso un’inflazione più elevata e carattere non più transitorio.

A cura di: Fernando Mancini

Parole chiave:

banchieri centrali pressioni inflative fed
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