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Mercati: il nuovo ordine globale minaccia la globalizzazione

Il fenomeno della deglobalizzazione, accentuatosi con la guerra in Ucraina e a seguito della pandemia, potrebbe favorire alcuni Paesi emergenti a scapito dei tradizionali fornitori come la Cina. Attenzione al tema della transizione energetica. Occhio all’equilibrio geopolitico tra Usa e Cina.

03/05/2023
grafici e dati colorati
Analisi sul fenomeno della deglobalizzazione

L’euforia che ha accompagnato per decenni la globalizzazione si sta affievolendo. Il fenomeno è oggi chiamato a fare i conti con diverse avversità: dai populismi alle disruption causate dal Covid, oltre che con l’impatto della guerra in Ucraina. Un crescente numero di Paesi ha così messo in discussione la propria dipendenza da un numero ridotto di fornitori di beni e materie prime. L'emergere di un nuovo ordine mondiale, segnala David Rees, senior emerging markets economist di Schroders, è probabilmente la base di un nuovo ciclo di investimenti, con la riorganizzazione delle catene globali del valore (GVC), l'accelerazione della transizione energetica e l'aumento della spesa per la difesa. Alcune economie trarranno vantaggio da questo sommovimento, in particolare quelle in grado di aumentare la quota di mercato o di esportare le risorse necessarie per la transizione energetica.

La rottura dell’equilibrio geopolitico Usa-Cina

Questo stravolgimento delle GVC non sarà immune da importanti cambiamenti. Le preoccupazioni per la sicurezza, piuttosto che per l'efficienza economica, sono infatti destinate – secondo Rees - a guidare le decisioni future dei Governi e c'è quindi il rischio che il nuovo ordine conduca l'economia mondiale verso la stagflazione (economia stagnante assieme ad alta inflazione). Il quadro che si prefigura contempla scarsità di offerta e aumenti dei prezzi più frequenti. Intanto appare chiaro che la rottura dell'equilibrio geopolitico, determinata dal disaccoppiamento tra Stati Uniti e Cina, sta avendo importanti ripercussioni sulle strategie delle imprese. Le tensioni tra Washington e Pechino sono in aumento da tempo e i timori di un'eccessiva dipendenza dalla Cina si sono ulteriormente amplificati durante la pandemia, con lo stop alle supply chain asiatiche e la conseguente carenza di beni.

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Dalla guerra in Ucraina impulso per la deglobalizzazione

Molte economie hanno iniziato a ripensare alla scelta di affidarsi a un ristretto numero di fornitori. Il vero spartiacque della deglobalizzazione è stata l’invasione dell’Ucraina e, soprattutto, le rapide sanzioni finanziarie ed economiche imposte alla Russia. Innanzitutto, secondo Rees, le aziende sono diventate più consapevoli, rispetto a prima della guerra, dei rischi politici e dei costi associati al commercio e agli investimenti esteri. Inoltre, sembra che si sia allargata la frattura tra Stati Uniti e Cina. Al contrario, Russia e Cina, unite dalla sfiducia verso l’Occidente, hanno stretto un'alleanza, indicando la possibilità di una cooperazione ad ampio raggio. I due Paesi sono economicamente complementari, in quanto la Russia è alla ricerca di tecnologie più sofisticate, mentre la Cina dipende in larga misura dai prodotti di base.

La nascita di nuove politiche protezionistiche

Il sommovimento si completa con la nascita di nuove politiche protezionistiche (per esempio a seguito della Brexit, con i dati dell’era Trump o gli effetti del Covid-19) che rappresentano una seria minaccia per il commercio in settori ad alto valore (come i semiconduttori) tra Cina e Taiwan e tra Stati Uniti e Cina. Tutti questi eventi, così come i costi della guerra in Ucraina, secondo l’economista di Schroders, influenzeranno con ogni probabilità il comportamento delle multinazionali e gli investimenti diretti esteri. È inoltre probabile, aggiunge, che le imprese decidano di spostare le attività da Paesi come la Cina verso destinazioni che offrono una maggiore protezione dai rischi geopolitici o dai dazi commerciali. Tuttavia, nello spostamento di attività, ci dovrebbe essere la spinta a rendere più sicure le supply chain e questo potrebbe avere un impatto negativo sull'economia globale.

La stagflazione è dietro l’angolo

Se la globalizzazione ha favorito la crescita, l'inflazione e tassi più bassi, il fenomeno contrario rischia di portare stagflazione. Se il reshoring dovesse prendere piede, le supply chain potrebbero sì diventare più solide e resistenti agli shock, ma a un prezzo (come per la manodopera). Secondo Rees, le disruption causate dall'emergere di un nuovo ordine mondiale beneficeranno alcuni Paesi. Gli emergenti in grado di attrarre le imprese che lasciano la Cina potrebbero aumentare il loro tasso di crescita potenziale incrementando la quota di mercato, così come le economie che esportano minerali fondamentali per la transizione energetica vedranno aumentare la domanda. Nel frattempo, anche le catene di approvvigionamento meno efficienti aumenteranno i costi. Di riflesso, è probabile che inflazione e tassi siano strutturalmente più alti, con conseguente rallentamento della crescita economica.

A cura di: Fernando Mancini

Parole chiave:

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