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Tasse: in 20 anni abbiamo pagato al Fisco 166 mld in più

Gli italiani hanno pagato in venti anni circa il 50 pct di tasse in piu. Lo stima la CGIA di Mestre, precisando che nel frattempo non ci sono stati miglioramenti della macchina. Nel 2000 l’erario e gli enti locali avevano incassato 350,5 miliardi, nel 2019 il gettito è salito a 516,5 miliardi.

03/09/2020

Negli ultimi 20 anni le entrate tributarie dell’Italia sono aumentate di 166 miliardi di euro, ovvero le tasse che i sui cittadini hanno pagato in questo periodo sono aumentate di quasi il 50%. I conti li ha fatti la CGIA di Mestre: se nel 2000 l’erario e gli enti locali avevano incassato complessivamente 350,5 miliardi di euro, nel 2019 il gettito (a prezzi correnti) è salito a 516,5 miliardi. In termini percentuali, quindi la crescita in questo ventennio è stata del 47,4 per cento, 3,5 punti in più rispetto all’aumento registrato sempre nello stesso periodo dal Pil nazionale espresso in termini nominali (+43,9 per cento).

Ma la macchina pubblica non è migliorata

“Qualcuno può affermare con certezza che grazie a 166 miliardi di tasse in più versati in questi ultimi 20 anni la macchina pubblica sia migliorata?” è la domanda provocatoria di Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi CGIA, il quale continua sullo stesso tono: “in altre parole, la giustizia, la sicurezza, i trasporti, in particolar modo quelli a livello locale, le infrastrutture, la sanità e l’istruzione sono oggi più efficienti di allora? Oppure, famiglie e imprese sono state obbligate a pagare di più e hanno ricevuto dallo Stato sempre meno?”. La sua risposta è chiara: “non abbiamo dubbi. Tra le due ipotesi – afferma - ci sentiamo di avvalorare quest’ultima, anche perché questo maxi prelievo ha impoverito il Paese, provocando, assieme alle crisi maturate in questo ventennio, una crescita dell’Italia pari a zero che nessun altro Paese del resto d’Europa ha registrato”.

Le tasse nazionali sono esplose: +49,3%

Infatti, piuttosto che ai contribuenti, i maggiori vantaggi di questa ‘raccolta’ sono andati soprattutto all’erario e, in minima parte, a Regioni ed enti locali. Ecco perché, afferma il segretario Renato Mason, “nell’immaginario collettivo si è diffusa l’idea che in questi ultimi anni Governatori e Sindaci sarebbero diventati, loro malgrado, dei nuovi gabellieri, mentre lo Stato centrale avrebbe alleggerito la pressione fiscale nei confronti dei contribuenti”. La realtà è tuttavia diversa. “Se è vero che negli ultimi 20 anni le tasse locali sono aumentate del 37,1 per cento, quelle incassate dall’Amministrazione centrale sono cresciute del 49,3 per cento. In termini assoluti, - sottolinea ancora Mason - dalle Regioni e dagli enti locali abbiamo subito un aggravio fiscale di 20,3 miliardi, mentre il peso del fisco nazionale è salito di 145,7 miliardi”. In altre parole, se dal 2000 le imposte locali hanno cominciato a correre, “quelle erariali sono esplose, con il risultato che i contribuenti italiani sono stati costretti a pagare sempre di più”.

La riforma: una partita tra centro e periferia dello Stato

In attesa che il Governo presenti la riforma fiscale che consenta una drastica riduzione della pressione tributaria, i dati appena descritti consentono all’Ufficio studi della CGIA di fare una riflessione anche sul tema dell’autonomia differenziata. Un argomento, quest’ultimo, che negli ultimi mesi, anche a seguito della crisi pandemica, pare sia stato rimosso dall’agenda politica dell’Esecutivo. “In questi ultimi anni – conclude Paolo Zabeo – il tema dell’autonomia differenziata è stato vissuto come una contrapposizione tra Nord e Sud del Paese, invece, è una partita che si gioca tra il centro e la periferia dello Stato. Tra chi vuole un’Amministrazione pubblica che funzioni meglio e costi meno e chi difende lo status quo, perché trasferendo funzioni e competenze ha paura di perdere potere e legittimità. E per conservare posizioni che non sono più difendibili, i proponenti di questa riforma sono stati accusati di voler impoverire ulteriormente le realtà territoriali più in difficoltà del Paese”.

Più autonomia equivale a maggiore responsabilità locale

Dalla CGIA, invece, sono convinti che questa riforma possa far bene a tutta l’Italia e non solo alle regioni che per prime hanno chiesto maggiore autonomia. Afferma al riguardo il segretario Renato Mason: “Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna sono le regioni che stanno vivendo la fase più avanzata di questa partita, ma molte altre, in forme diverse, hanno manifestato l’interesse ad avviare una trattativa con l’Esecutivo. Più autonomia equivale a più responsabilità ed è evidente che i risparmi e l’extra gettito prodotto devono rimanere, in massima parte, nei territori che li generano”. A loro volta, prosegue Mason, “le realtà territoriali più sviluppate dovranno comunque aiutare chi è in difficoltà, applicando il principio della solidarietà. Se queste tre regioni riusciranno a far decollare la riforma, è evidente che provocheranno un effetto trascinamento che imporrà la riduzione della spesa pubblica. Conseguentemente, ciò contribuirà ad abbassare le imposte e a innalzare la qualità e la quantità dei servizi erogati a cittadini e imprese”.

A cura di: Fernando Mancini

Parole chiave:

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