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Draghi e il destino dell'euro

30/04/2018

L'evento di questo finale di settimana è stato senz'altro la riunione della Bce, che ha spinto l'euro sotto quota 1,21 nei confronti del dollaro, il livello più basso dalla prima metà di gennaio. A suonare campane di mestizia è stato lo stesso governatore Draghi che ha sottolineato che c’è una crescente incertezza sulle sorti dell'economia europea dopo una serie di dati che sembrano mostrare inequivocabilmente un rallentamento congiunturale. In ordine cronologico l'ultimo è stato il Pil della Francia, attualmente la quinta economia del mondo (ai cambi correnti è davanti alla Gran Bretagna). Il risultato è stato in linea con le attese, +0,3% su base congiunturale, valore che però rappresenta un livello che è meno della metà rispetto al +0,7% degli ultimi tre mesi del 2017.

Contemporaneamente la Gran Bretagna ha registrato un miserrimo +0,1%, il valore peggiore da fine 2012, con una performance particolarmente negativa registrata dalle costruzioni (-3,3%). A incoraggiare gli investitori finora è stata solo la Spagna , che è cresciuta su base congiunturale dello 0,7%. Si tratta del nono trimestre di fila in cui l'economia iberica è aumentata con questa intensità o addirittura superiore.

Di fronte a tutto ciò non sorprende che la Bce abbia esplicitamente parlato della possibilità di prolungare il Qe in scadenza a fine settembre di altri trimestri, contemporaneamente ben guardandosi anche solo dall'accennare a quando si potrà cominciare ad alzare i tassi. E come conseguenza il super-euro sta cominciando a prendersi delle pause, effetto che probabilmente non dispiace alle autorità continentali. Lo scenario centrale per il 2018 prevedeva un cambio Eur/Usd stabile con la possibilità, come outlier, però di vedere un ulteriore schizzo al rialzo verso quota 1,30. In realtà ci siamo fermati poco sopra 1,25, però almeno fino a qualche settimana fa lo scenario delineato sembrava confermato.

Capire le dinamiche del mercato Forex, in particolar modo quelle della moneta unica, che sono avvolte sempre in un fondo di isteria politica e ideologica, non è facile neppure per gli esperti del settore. In questa sede ci limitiamo umilmente a ricordare che i due elementi più importanti nel delineare il tasso di cambio sui mercati sono il livello relativo dei tassi di interesse, specialmente a breve, e il ciclo economico. Lo scenario è però complicato dal fatto che i trader valutari tendono ad anticipare molto le inversioni, con il risultato che spesso vengono smentiti.

Prendiamo quest'ultimo bull market dell'euro: la crescita europea ha portato a puntare su un possibile inizio di normalizzazione delle politiche della Bce non eccessivamente lontano nel tempo e a focalizzarsi sul crescente (di nuovo) twin deficit statunitense, a livello di partite correnti e conti pubblici. Il risultato è che se il rallentamento economico europeo dovesse intensificarsi i trader lunghi di euro si troverebbero con il cerino acceso in mano con una politica monetaria bloccata da un ritorno alla bassa crescita. Ciò si tradurrebbe in uno scarto colossale fra i tassi a breve statunitensi e quelli continentali, accompagnati peraltro da una forte ripidità delle proprie curve.

Quali sono dunque le prospettive in questo ambito? Per tentare di dare una parziale risposta bisogna non dimenticare di un elemento molto importante, ossia il forte scarto che esiste a livello ciclico e secolare nell'andamento del cambio valutario più importante del mondo.

A cura di: Boris Secciani

Parole chiave:

bce euro dollaro europa
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