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Oro, un paradosso sui mercati

11/07/2018

Per certi versi è un paradosso. Le borse di mezzo mondo, anche se non vanno malissimo, stanno dimostrando una fragilità imprevista solamente pochi mesi fa, l’obbligazionario sta affrontando alcuni problemi strutturali non da poco, l’inflazione sta rialzando la testa quasi dappertutto, i tassi sono in crescita e le guerre commerciali hanno dato il via a un tutti contro tutti che non promette nulla di buono per lo sviluppo dell’economia. Infine l’Europa, che era vista in fortissima ripresa, sta affrontando problemi enormi, tali da mettere in dubbio la sopravvivenza stessa dell’Unione e della sua moneta unica.

Eppure nonostante questo quadro che dovrebbe essere quasi perfetto per qualsiasi bene rifugio, l’oro non decolla, anzi tende a essere decisamente debole. Nella mattinata di mercoledì 11 luglio il future sulla scadenza più vicina quotava 1.252 dollari per oncia, un livello decisamente basso. Solamente il 20 maggio di quest’anno il prezzo del metallo giallo era a 1.302 e l’11 febbraio era a 1.352. In pratica, nonostante le condizioni decisamente favorevoli, in sei mesi una caduta costante e decisamente veloce.

È vero che in questi mesi c’è stato un rafforzamento del dollaro che ha tradizionalmente una correlazione inversa con l’andamento dell’oro, ma se si vede la quotazione in euro le differenze sono quasi impercettibili: attualmente il prezioso per antonomasia vale 1.066 euro per oncia, mentre ai livelli massimi fatti registrare il 29 maggio era a 1.125.

A questo punto che fare? Può valere la pena affrontare un’estate probabilmente calda sui mercati tutelandosi con un acquisto di oro, oppure è meglio puntare sui più tradizionali titoli sui mercati sperando che le quotazioni delle borse continuino la loro corsa. Ovviamente la riposta è difficilissima, ma qualche ragionamento razionale lo si può fare.

Innanzitutto la quotazione attuale è la più bassa dai primi giorni del 2016 e praticamente agli stessi livelli di cinque anni fa. Corsi nettamente inferiori sono stati toccati solamente nel periodo che va dalla fine del 2013 al termine del 2014, periodo in cui il lingotto tracollò fino a un minimo di 876 dollari per oncia, un livello che non pareggia neppure il costo di estrazione nella maggior parte delle miniere. Da allora è sempre rimasto al di sopra degli attuali prezzi: anche nel corso di tutto il 2017, anno splendido per tutti i mercati in tutto il mondo, il livello è stato nettamente superiore a quello attuale.

La conseguenza di questo ragionamento è che difficilmente, con mercati finanziari come quelli attuali e il ritorno della volatilità, si scenderà ancora molto. La storia delle borse è piena di paradossi e l’ulteriore discesa di questo prezioso potrebbe essere uno di questi, ma è improbabile che si vada molto sotto, soprattutto se il quadro di scontro in Europa e negli Usa resterà uguale. E attualmente non sembra che l’amministrazione Trump sia intenzionata a cedere su una guerra commerciale che potrebbe fare molti danni all’economia globale, così come non appare probabile che l’Europa ritrovi a breve un’unità di intenti. Il tutto in uno scenario di crescita generalizzata dei tassi.

Un’altra polveriera che potrebbe esplodere in qualsiasi momento è il Medio oriente: qualora la tensione crescesse in quell’area e il petrolio cominciasse a salire pesantemente, l’oro certamente avrebbe una spinta al rialzo.

In pratica, forse oggi una diversificazione sul metallo giallo, acquistando un Etf sul prodotto fisico, avrebbe un senso. Molto più rischiosi sono probabilmente i titoli di società aurifere o i fondi comuni che puntano su queste azioni. Solitamente il loro andamento è influenzato positivamente dalla crescita delle quotazioni del metallo estratto, ma anche dall’eventuale discesa dei listini. E i prezzi dei preziosi, bene rifugio per eccellenza, salgono quando le piazze finanziarie vanno male e le azioni aurifere sono quindi spesso sottoposte a due forze contrastanti.

A cura di: Alessandro Secciani

Parole chiave:

oro guerra commerciale Europa dollaro
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