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Nuovo record per Wall Street

23/11/2016

Ieri, martedì 22 novembre, il principale indice azionario statunitense, l'S&P 500, ha chiuso sopra quota 2.200: si tratta dell'ennesimo massimo storico all'interno di una delle annate più strane che la storia ricordi. Infatti solo poche settimane fa c'è stata la sequenza di nove chiusure negative di fila, qualcosa che non accadeva da decenni, con però solamente una perdita minima delle quotazioni.

Inoltre in questo 2016 abbiamo visto due brutali correzioni, a inizio anno e dopo la Brexit, al limite del bear market, un'estate di ripresa fenomenale, un periodo di calma piatta e adesso il bull market legato all'elezione di Trump. Come detto, tutto e il contrario di tutto, che però alla fine sembra portare a un risultato ormai costante da una decina di anni: una sovraperformance del mercato azionario statunitense. Martedì 22 sera, infatti, dall'inizio dell'anno le quotazioni dell'S&P 500 erano cresciute del 7,9% circa, a fronte di un Dax ancora in calo, rispetto alla fine del 2015, dello 0,8%. A questo punto vale la pena osservare qualche dato indietro nel tempo per capire come il fenomeno abbia radici profonde.

Per fare ciò partiamo da fine 2002: la data, come tutte, è arbitraria, però rappresenta un periodo in cui stava finendo la non modesta recessione indotta dallo scoppio della prima ondata di internet, cui avrebbe fatto seguito la grande ripresa dovuta al calo dei tassi, all'ascesa degli emergenti con il boom delle commodity e alla bolla immobiliare globale saltata nel 2008.

Da allora l'S&P 500 è cresciuto del 150% circa, passando da 880 ai 2.203 attuali. Inoltre in questa semplice analisi non viene considerato l'effetto cumulato dei dividendi, che favoriscono un po' i mercati europei, né vengono conteggiati i cambiamenti a livello valutario, che peraltro hanno visto un dollaro fare un'immensa andata e ritorno per finire più o meno agli stessi livelli di allora. Nello stesso periodo il Dax è passato da circa 2.892 a 10.655, con una crescita intorno al 268%. A prima vista si potrebbe dire che complessivamente da allora l'azionario teutonico ha largamente sovraperformato quello americano, ma ciò è vero a patto di tenere presente un elemento: a inizio millennio l'equity della Repubblica Federale era particolarmente sottovalutato e trascurato dagli investitori, al punto che a inizio 2003 la capitalizzazione per alcuni brevi momenti risultò inferiore a quella di Milano.

Ciò era dovuto alla difficile situazione economica in cui si trovava la Germania, la cui crescita ha cominciato a migliorare qualche anno dopo. Nel corso del 2003 il Dax crebbe di circa il 37%, nel 2004 del 7,3%, nel 2005 del 27%, nel 2006 si registrò un +22%, nel 2007 un ulteriore passo in avanti del 22,3% e nel 2008 del grande crash si registrò un arretramento del 40,3%. Nel periodo post-crisi finanziaria nel 2009 l'azionario di Francoforte tornò a crescere del 21,3%, nel 2010 si ebbe un +16%, nel 2011 un calo del 14,7%, nel 2012 si tornò al segno più (+29%), nel 2013 +25,5%, nel 2014 +2,6% e nel 2015 +9,6%.

Ora osserviamo i dati equivalenti per l'S&P 500: nel 2003 + 26,4%, nel 2004 +1,7%, nel 2005 +3%, nel 2006 +13,6%, nel 2007 +3,5%, nel 2008 -38,5%, nel 2009 +23,5%, nel 2010 +12,7%, nel 2011 l'S&P 500 chiuse praticamente invariato, nel 2012 +13,4%, nel 2013 +29,6%, nel 2014 +11,4%, nel 2015 si è avuto un calo dello 0,7%.

In pratica da questa lunga carrellata di dati si può vedere che nelle ultime nove annate (dal 2008 al 2016, dando quindi per scontato il risultato di quest'anno) l'S&P 500 ha sovraperformato il Dax 30 in sei casi su nove. In pratica la sovraperformance dell'azionario tedesco è stata generata nel periodo che va fra la prima e la seconda crisi finanziaria di questo secolo, una fase che ha visto l'economia tedesca passare dall'essere una delle più stagnanti d'Europa alla posizione di dominio attuale, mentre gli Usa venivano dal periodo di maggiore espansione dei multipli azionari di sempre.

Da fine 2007 a ieri, l'S&P 500 ha messo a segno +50%, mentre il Dax si è fermato a +32%. Ora sicuramente si può contestare a questa analisi il fatto che i due indici sono molto diversi: da una parte una capitalizzazione di circa un trilione di euro per 30 titoli, dall'altra sono concentrati nellindice i tre quarti circa di un mercato equity che a sua volta copre la metà dell'equity del mondo. È evidente che un benchmark più ristretto come quello tedesco tende a mostrare una maggiore volatilità e ad amplificare i cicli. È interessante però notare che la migliore economia d'Europa negli ultimi 10 anni ha preso a sottoperformare un'America che sta comunque vivendo la crescita economica più modesta della propria storia.

La domanda che viene spontanea a questo punto è: può continuare il trend? La risposta la vedremo nelle prossime settimane, anche se è probabile che sia sì, tanto che può essere consigliabile sul lungo periodo coprire un eventuale investimento sul listino statunitense con una posizione corta sullo Stoxx 600.

A cura di: Boris Secciani

Parole chiave:

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