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2018, le minacce

22/12/2017

Dopo avere analizzato gli scenari più positivi e quello centrale per il 2018, ci spostiamo all'estremo (relativamente parlando) opposto e tentiamo di capire che cosa potrebbe andare storto. Ovviamente ribadiamo che non ci occupiamo anche questa volta di eventualità di nuove crisi finanziarie, apocalissi nucleari e altre simili piacevolezze; ciò che vogliamo tentare di capire è come potrebbe svilupparsi un anno moderatamente negativo.

Il primo elemento da tenere d'occhio è la possibilità di uno scenario tendente alla stagflazione, ossia un quadro in cui la quota di crescita di Pil reale rispetto al nominale scenda significativamente. Nello stesso tempo la tensione politica in Medio oriente, ben oltre i normali livelli di guardia di tale travagliata regione, potrebbe spingere il petrolio a schizzare al rialzo, anche in assenza di un'economia in solida espansione. Non è incredibile pensare che una bolla potrebbe seguire nel resto delle materie prime, anche quelle agricole, contribuendo al rialzo del costo della vita

A livello di inflazione core un rialzo si potrebbe generare anche con un modesto incremento degli aumenti salariali. I due elementi combinati insieme porterebbero vantaggio solamente al comparto energetico e delle materie prime in generale: infatti stipendi nominalmente più alti non si tradurrebbero in maggiore potere d'acquisto per via di spese di base più elevate. La maggior parte delle aziende dunque si troverebbe a dovere gestire costi più elevati a fronte di fatturati stagnanti, con ovvie conseguenze su margini, profitti e free cash flow.

Di fronte a simili sviluppi un po’ da profeti di sciagure probabilmente la Fed sospenderebbe le proprie manovre di rialzo dei tassi senza però ricorrere immediatamente a un nuovo quantitative easing. Una simile titubanza avrebbe quasi certamente l'effetto di indebolire brutalmente il dollaro, che potrebbe arrivare ben oltre la soglia di 1,30 per euro.

Di converso ciò provocherebbe effetti non dei più piacevoli anche sull'andamento economico europeo, nonché sugli utili dei gruppi quotati nel Vecchio continente. Appare piuttosto pleonastico aggiungere che una stagione di revisione al ribasso dei profitti non è esattamente auspicabile in un mercato azionario caro e in grado di giustificare le proprie quotazioni solo grazie a un elevato equity risk premium.

Scontato appare anche sottolineare che stagflazione, shock sulle materie prime, calo dei profitti aziendali avrebbero un effetto lievemente disastroso sulla transizione cinese, che in realtà, soprattutto nel proprio obeso comparto dei materiali di base, ha ricevuto un aiuto non da poco dai bassi corsi delle commodity. Di fronte a rinnovate difficoltà del Dragone ovviamente ci sarebbe da salutare con il fazzolettino anche l'attuale mini-boom di Corea, Giappone, Taiwan e Singapore.

A trarre qualche vantaggio ovviamente ci sarebbero i maggiori produttori di risorse naturali, che però si troverebbero anch'essi danneggiati dalla difficile situazione mondiale.

A questo punto i lettori potrebbero trovare contraddittorio ritenere negativo uno scenario fatto di inflazione salariale, shock positivo sui prezzi delle materie prime e dollaro in fondo al pozzo, visto che questi sono alcuni degli ingredienti che avevamo sottolineato come elementi del quadro positivo.

La differenza di fondo è nel ciclo economico: se esso dovesse durare ancora anni, con un'America addirittura in accelerazione e il resto del mondo appena in lieve calo (così da ottenere un 2018 a livello macro simile al 2017), allora ci sarebbe ancora sufficiente spazio per una crescita degli asset rischiosi robusta, tale da coinvolgere, nel più classico dei carry trade moderni, le divise emergenti contro il dollaro, il ferro, il petrolio, le azioni europee (sia big cap, sia small&mid).

Se invece per fattori endogeni un adeguato incremento del Pil latitasse e per via del caos politico, arrivasse uno shock dalle commodity, allora ci sarebbe da nascondersi sotto i tavoli.

Come fare per accorgersi dell'arrivo di simili grane? Innanzitutto appare fondamentale guardare ai dati provenienti dagli Usa, specialmente in seguito al varo delle riforme fiscali. Se i numeri dovessero essere deludenti, con l'aggiunta di una crescente probabilità di un bagno di sangue dell'attuale amministrazione alle elezioni di midterm del novembre 2018, allora suonerebbe un allarme rosso.

Se inoltre dalla Cina dovessero tornare ad arrivare notizie allarmanti, in particolare dall'andamento dei consumi, con prevedibili conseguenze sulle quotazioni delle darling del comparto tecnologico locale,  le luci verrebbero definitivamente spente.

Se infine la terribile guerra dello Yemen dovesse spostarsi all'interno del Regno saudita addirittura si tornerebbe a dire che avremmo maggiori problemi rispetto al livello dei nostri investimenti.

A cura di: Boris Secciani

Parole chiave:

previsioni 2018 minacce economia globale stagflazione
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