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Addio quantitative easing

14/12/2018

Il presidente della Bce, Mario Draghi, ha ribadito che con l’arrivo del nuovo anno la Banca Centrale Europea terminerà il suo quantitative easing, anche se manterrà il tasso di riferimento all’attuale 0%. In pratica anche in Europa, con la cessazione del programma di acquisto di titoli obbligazionari di ogni genere, si entra in una fase diversa rispetto al passato. Ma vediamo i punti essenziali e soprattutto le conseguenze che la nuova politica monetaria della Bce avrà sui mercati.

Differenze con la Fed. La Federal Reserve, la Banca centrale Usa, ha terminato già da oltre tre anni di incrementare il proprio bilancio comprando titoli governativi. Da più di un anno sta anche vendendo sul mercato le obbligazioni che aveva in portafoglio e sta incrementando il tasso di riferimento, che è  arrivato al 2,25%,  con un minimo di energia. L’istituto di emissione europeo, invece, per ora si limiterà a non acquistare nuovi titoli, ma rinnoverà i bond che già detiene in portafoglio e soprattutto non rialzerà i tassi almeno fino agli ultimi mesi del 2019.

Su questa base le conseguenze negative dovrebbero essere relativamente limitate, a parte i debiti del Tesoro. I titoli governativi, infatti, non avranno più un player disposto ad acquistare tutto a qualsiasi prezzo e soprattutto a qualsiasi rendimento e a fare il prezzo, dopo diversi anni, sarà esclusivamente il mercato. Fino a oggi, con un attore che ogni mese buttava decine di miliardi sul mercato, di fatto noi non sappiamo quali sono le reali quotazioni delle obbligazioni, in quanto sono letteralmente drogate da una massa di denaro che si riversa sui listini. Dal 2019, però, ogni titolo obbligazionario dell'Eurozona farà il prezzo che deciderà la legge della domanda e dell’offerta. E questa sicuramente non è una buona notizia per i governativi italiani, che hanno usufruito più di ogni altro, vista la debolezza dell’emittente, di questo vantaggio.

Per fortuna, però, la Bce, a differenza della Fed, non smobilizzerà il suo portafoglio titoli: in pratica riacquisterà ogni obbligazione che verrà a scadere. In qualche maniera questo fatto rappresenta una sorta di paracadute per gli stati più in difficoltà.

Inoltre, con il tasso di riferimento che, almeno per alcuni mesi resterà allo 0%, l’economia dovrebbe essere preservata da rialzi del costo del denaro. In un’Europa (Italia in primis) che stenta a trovare una propria via di sviluppo e che deve affrontare una fase di fine ciclo molto difficile, un rialzo del costo del denaro forte, come sta avvenendo negli Usa, sarebbe un danno non da poco.

A contrario la Bce, anche probabilmente incrementando altri programmi di sostegno agli istituti di credito, sta facendo di tutto per evitare un credit crunch, vale a dire un taglio al volume degli impieghi creditizi che avrebbe effetti disastrosi sulle economie più deboli come l’Italia.

Conclusione. Sicuramente il momento per terminare il quantitative easing non è dei migliori e molte voci si sono levate a chiedere che la sospensione fosse rimandata a tempi meno perturbati. Non solamente siamo alla fine di un ciclo economico positivo, che peraltro in Europa non è mai partito in maniera convincente, ma soprattutto con i forti problemi portati dalla Brexit e dal governo italiano (ma recentemente anche dalla Francia e da una Germania che appare come una locomotiva che va molto a rilento) togliere liquidità al sistema è un pericolo non da poco. E l’Italia si troverà a operare, proprio oggi che ne avrebbe più bisogno, senza la rete di protezione del Qe.

Per i mercati non sarà perciò un momento facile e oggi, dopo anni di quotazioni  obbligazionarie drogate dagli acquisti della Banca centrale, nessuno sa quale reazione davvero ci sarà. In questa fase in Europa di titoli sicuri, compresi i Bund tedeschi che quotano a livelli irrealistici, non ce ne sono, anche se probabilmente si limiteranno i danni. Ma sempre danni probabilmente saranno.

A cura di: Alessandro Secciani

Parole chiave:

bce mario draghi quantitative easing titoli di stato
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