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Cina, un altro rischio non scontato

14/01/2019

In questo terzo articolo sui rischi non ancora scontati dai mercati nel 2019 arriviamo a occuparci della Cina, la seconda, forse prima, economia del mondo. Per quanto riguarda il colosso asiatico non è errato affermare che il 2019 si apre con una serie di grandi difficoltà e incognite. Le stime governative sulla crescita del Pil sono state tagliate per quest'anno al 6,2% a fronte del 6,5-6,6% messo a segno nel 2018. Inoltre diversi osservatori hanno forti dubbi sul fatto che l’obiettivo indicato sia realisticamente raggiungibile.

Infatti nell'ultimo anno, anche se i prodromi si erano già visti durante la crisi di borsa del tardo 2015-inizio 2016, per la prima volta è stata scalfita quella che era una sorta di aura di invincibilità e di ineluttabilità dell'ascesa a nuova super-potenza del mondo da parte della Repubblica Popolare. La guerra dei dazi statunitense, che non rappresenta altro che la punta di una lancia scagliata contro la Cina allo scopo di impedirne, o quanto meno rallentarne, lo sviluppo da parte degli Stati Uniti, ha indubbiamente scoperchiato fragilità forse sottovalutate da molti.

Che il paese avesse problemi giganteschi a livello di debiti da parte delle aziende di stato era cosa risaputa, ma la vulgata comune voleva che l'ascesa della capacità produttiva sarebbe stata più che sufficiente ad  alimentare consumi in grado di sostituirsi al vecchio modello basato su esportazioni all'estero e investimenti e industrie pesanti all'interno. Su questa transizione si basa anche la tenuta del modello politico nazionale, che alcuni considerano un esplicito patto sociale di scambio fra benessere economico e mancanza di libertà politica.

Vale la pena ribadire un concetto: una nazione il cui Pil pro capite nominale è ormai sulla soglia dei 10 mila dollari non può crescere ai ritmi del recente passato, anche a fronte di un boom dei consumi senza precedenti e a progressi tecnologico-scientifici stupefacenti. Ciò appare ancora più vero se si considera anche il rapido processo di invecchiamento del paese. Il problema, però, è che anche nella parte più vitale dell'economia locale qualche crepa comincia a vedersi. Innanzitutto la seconda metà dell'anno ha visto un andamento disastroso del settore auto, mentre del tutto incerte appaiono le prospettive del comparto It locale, principale obiettivo della guerra americana.

In questi primi giorni dell'anno gli asset locali, con mercato azionario e yuan in testa, sono andati in maniera più che discreta, in linea con quanto accaduto nel resto del mondo, segno di una comunità di investitori che mantiene un certo ottimismo e la volontà di non credere a recessioni imminenti. Se però sorprese negative dovessero arrivare dal Dragone, allora probabilmente sarebbero guai per tutti. Come si è visto nell'ultimo trimestre dell'anno appena terminato, le illusioni di decoupling sono appunto solamente illusioni in questo mondo in cui la Cina, pur con tutte le sue magagne, rappresenta l'unico vero motore di crescita planetaria. Tolto quello, alternative non paiono esserci: l'India, ad esempio, appare ancora troppo povera e con una crescita tutto sommato modesta rispetto al suo livello di sviluppo per potere costituire un'alternativa.

Se la Cina andasse incontro a problemi strutturali destinati a bloccarne la crescita per un lungo periodo di tempo, il mondo si dovrebbe rassegnare a vivere in un ambiente fatto di Pil piatto, con tutte le conseguenze del caso sui mercati. Chi non ci crede può chiedere a un paio di aziende di nome Apple e Samsung Electronics. 

A cura di: Boris Secciani

Parole chiave:

cina pil rischio guerra commerciale
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