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Eurozona: bene l’inflazione, ma timore su segnali dai rendimenti
I tassi sui titoli di Stato dell’Eurozona restano alti per timori legati alla spesa pubblica, all’indebitamento e alle tensioni politiche, soprattutto in Francia, complicando il compito della BCE. Rendimenti elevati aumentano i costi di finanziamento per i Governi, per le imprese e per le famiglie.

La Banca Centrale Europea continua a mantenere la propria politica monetaria invariata, confermando l’approccio attendista, grazie a un contesto in cui l’inflazione nell’Eurozona rimane stabilmente attorno al target ufficiale del 2 per cento. Tuttavia, nonostante questo scenario di fondo apparentemente favorevole - secondo l’ultimo report dell’agenzia di rating Scope Ratings - non ci sono al momento motivi concreti per ipotizzare un taglio dei tassi d’interesse già dal prossimo mese, come gli investitori stanno iniziando a mettere in conto. L’ottimismo, spiegano infatti gli esperti, è frenato dalle incertezze per gli effetti dei dazi non ancora ‘percepiti’ appieno dai mercati e per i segnali che stanno arrivando dai rendimenti obbligazionari sul lungo termine.
Il ritorno di fiamma con la spesa pubblica
Quest’anno, secondo le stime dell’agenzia europea, l’inflazione dovrebbe collocarsi sul 2,1%, in discesa rispetto al 2,4% dello scorso anno e decisamente distante dal 5,4% registrato nel 2023. Gli stessi esperti, inoltre, prevedono un ulteriore calo nel 2026, con prezzi in crescita dell’1,9%, addirittura sotto l’obiettivo della BCE. Nonostante il quadro relativamente stabile, secondo Scope Ratings, permangono elementi di tensione: l’inflazione di fondo e quella rilevata nel settore dei servizi rimangono infatti sopra questo obiettivo, mentre la solidità del mercato del lavoro e il programmato aumento della spesa pubblica in Germania e in altri Paesi europei - in particolare in difesa e infrastrutture - potrebbero alimentare nuove spinte inflazionistiche.
Il dirottamento dei beni cinesi e il rafforzamento dell’euro
Sul breve termine invece non sono attesi particolari problemi. Per quanto riguarda il fronte esterno, l’accordo commerciale tra Stati Uniti e Unione europea ha contribuito a ridurre la pressione, ampliando i margini della BCE per un allentamento più rapido della politica monetaria. Al contempo ci sono altri due punti a favore. In primo luogo, il dirottamento verso l’Europa di beni a basso costo provenienti dalla Cina, a causa delle tariffe imposte dall’Amministrazione Usa, contribuisce a contenere i prezzi. L’altro fattore chiave è il rapporto di cambio: nel 2025 l’euro si è rafforzato del 14% sul dollaro. Se la valuta unica dovesse superare stabilmente quota 1,20, potrebbero emergere timori legati alla competitività delle imprese Ue e al rischio di deflazione.
La sfida dei rendimenti a lungo termine in rialzo
Negli ultimi mesi i rendimenti dei titoli di Stato a lungo termine dell’Eurozona confermano uno scenario che da tempo vede i tassi destinati a rimanere alti per più tempo del previsto. Per la BCE si tratta di un segnale da non sottovalutare: se i tassi Usa dovessero continuare a scendere, questo potrebbe spingere gli investitori a chiedere rendimenti ancora più elevati in Europa, accentuando la pendenza delle curve. Per ora, però, l’Eurotower non sembra intenzionata a intervenire direttamente. I rendimenti più alti riflettono infatti timori reali dei mercati: dall’aumento della spesa pubblica nei Paesi europei al maggiore indebitamento degli Stati, fino alle tensioni politiche in Francia, fattori che alimentano dubbi sull’andamento futuro dell’inflazione.
I rischi per il credito e il debito
Un intervento della BCE, come l’attivazione del Transmission Protection Instrument (sistema che garantisce che la politica monetaria venga trasmessa in modo uniforme), al momento appare poco probabile, a meno che la crisi politica in Francia non porti a una vendita massiccia dei suoi titoli di Stato. Se invece si verificasse un aumento troppo brusco dei rendimenti in diversi Paesi dell’Eurozona, la BCE potrebbe essere costretta a rallentare il programma di riduzione del bilancio (quantitative tightening). I tassi più elevati restano comunque un campanello d’allarme: rendono più costoso il finanziamento per Governi, imprese e famiglie e rischiano di tagliare fuori dal mercato i soggetti più fragili. Inoltre, la tendenza a finanziarsi soprattutto sul breve termine per sfruttare tassi leggermente più bassi aumenta i rischi di rifinanziamento e l’esposizione a futuri rialzi dei tassi.
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